In Italia la presa di posizione più oculata sulla vicenda che ha coinvolto il vaccino di AstraZeneca è stata della Società italiana per lo studio dell’emostasi e della trombosi (Siset). E cioè di uno tra gli enti più titolati a esprimersi sull’eventuale correlazione tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza delle patologie sotto indagine.
La Siset, riconoscendo “l’allarme e l’ansia prodotti nella popolazione” dalla sospensione delle vaccinazioni e dal ritiro precauzionale di un lotto, ha espresso in una nota la raccomandazione affinché “tutti i soggetti eleggibili si sottopongano a vaccinazione anti Covid-19 secondo i piani vaccinali predisposti dalle autorità nazionali e regionali”.
Come non ha mancato di sottolineare la Società, il sistema di vigilanza degli eventi avversi predisposto dall’Ema ha registrato, al 10 marzo, 30 casi di eventi trombotici in 5 milioni di soggetti vaccinati con il vaccino AstraZeneca. Un numero “paragonabile al tasso di trombosi abitualmente registrato nella popolazione generale”. Quindi è chiaro il messaggio: le possibilità di trombosi aumentano con il Covid, non con il vaccino.
Calano i contagi nelle categorie vaccinate per prime rispetto alla popolazione in generale, che vede aumentare il numero dei positivi. L’effetto sarà maggiormente apprezzabile tra qualche settimana, quando riguarderà anche ricoveri e decessi
In Italia le persone che hanno completato il ciclo vaccinale (con prima e seconda dose) sono 2.145.434 milioni, il 3,6% della popolazione, un numero ancora molto basso per poter apprezzare l’effetto della protezione sulla curva dei ricoveri, dei decessi e dei contagi. Se però scomponiamo il dato nelle categorie prioritarie individuate dal piano nazionale vaccini e cioè over 80, operatori sanitari, fragili e ospiti delle Rsa, riusciamo a scorgere le prime differenze, dato che le somministrazioni in alcune di queste categorie sono più avanti rispetto ai numeri dei vaccinati nella popolazione in generale.
Al 19 marzo sono state somministrate 2.825.292 dosi a operatori sanitari e sociosanitari, 1.169.920 dosi a personale non sanitario, 2.433.867 dosi a persone over 80 e 502.394 dosi a ospiti di RSA. Questo significa, secondo l’ultimo report targato Istituto Superiore di Sanità e datato 10 marzo, che il gruppo che, in proporzione, ha ricevuto il numero maggiore di dosi è la fascia dei maggiori di 90 anni (il 40% circa ha ricevuto almeno una dose), seguito dalla fascia 80-89 anni (almeno una dose a circa il 32%).
Per quanto riguarda gli operatori sanitari la buona notizia c’è: la proporzione di casi tra operatori sanitari sul totale dei casi segnalati in Italia, a metà novembre superava il 5% del totale, ma dalla metà di gennaio si osserva una tendenza al calo «verosimilmente attribuibile al completamento del ciclo vaccinale in una buona percentuale di soggetti appartenenti a questa categoria», scrive l’ISS. Durante il periodo 22 febbraio – 7 marzo 2021 ci sono stati 2.154 casi tra gli operatori sanitari, l’1% del totale. I dati riportati dalle Regioni indicano anche che la letalità tra questi soggetti è inferiore, anche a parità di classe di età, alla letalità totale. Il confronto più notevole è quello della linea dei casi tra gli operatori sanitari affiancata a quella della popolazione generale: le due curve epidemiche hanno avuto un andamento molto simile fino alla seconda metà di gennaio, quando hanno iniziato a divergere, mostrando una discesa negli operatori sanitari, a fronte di un andamento stazionario e poi in evidente aumento dall’8 febbraio nella popolazione generale.