AVEZZANO – Da Via del Corso ai navigli, da Piazza Risorgimento a Piazza Duca degli Abruzzi, la messa a fuoco è su chi esce, chi va in piazza, chi sta con un amico. Cercare la normalità è un “male” in pandemia. Sindaci reclamano, cittadini si lamentano, medici paventano lockdown. Nel frattempo, le sirene non sono così pressanti quanto quelle di un’economia che chiede il conto nella bolletta a fine mese.
Ancor di più pesa l’uguale. Il giorno, il giorno dopo e l’altro ancora, uguali e standardizzati offuscano la mente, abbattono la psiche. E se, dopo un anno, i contagi e la pressione sugli ospedali continuano a fornire dati da emergenza sanitaria, dall’altra la paura scema e la mascherina si abbassa. C’è chi è stanco di ascoltare le polemiche di chi non è riuscito ad ottemperare ai lavori sulle terapie intensive. C’è chi è stanco di accettare che l’unica pronta risposta sia mettere i bambini dietro uno schermo.
E poi non c’è più la voce di Giuseppe Conte a prendersi il volto del “piantone” mascherato contro cui prendersela se la serranda deve stare chiusa. Sarà forse per questo che il premier Draghi lascia il microfono al ministro Speranza quando si parla di restrizioni, misure e controlli. L’esperienza insegna che da paladino a “tiranno”, l’inchiostro cambia velocemente. Quel silenzio, che lascia la parola ai moralisti della comunicazione, vela un lascivo permesso, avallato dalla stanchezza, da una paura che si ammorbidisce e non è più tesa.
Perché la paura è una molla forte purché non resti tesa troppo a lungo.
Si grida facile contro gli irresponsabili che, vedendo il sole, cercano un po’ di libera normalità. Così, però, le tastiere statuarie della moralità mediatica rischiano di ottenere l’effetto boomerang: l’anarchia, il non essere più ascoltati, il famoso “A lupo, a lupo…”. Un lupo che in realtà c’è, ma non viene più temuto. E il rischio è che la paura si trasformi in noia o in rabbia. La rabbia in disinteresse, sfogo, violenza contro sé, contro gli altri.
Minorenni lanciano i sassi, maggiorenni rischiano il coma etilico. E l’ambulanza, di cui la Marsica non abbonda, perde tempo prezioso, rischiando di tardare a soccorrere qualcuno in maggior pericolo. I disagi giovanili, però, non sono nati con il covid. Al massimo, ne escono “megafonizzati”.
La memoria non inganna quando si ricorda che la saracinesca dei bar locali ha conosciuto misure restrittive del Prefetto mesi prima del 9 marzo 2020: alto consumo di droga, alcol a minorenni, video di sedie volanti e cazzotti live da piazza Obelisco, specchietti rotti a calci, viali di violenza notturna che rimbalzano in tutta Italia.
La pandemia ha forse rallentato un declino che già esisteva. Ma non ha il potere magico di annullarlo. Anzi, a forza di puntare il dito, lo amplifica. Qualcuno diceva: la pandemia ci migliorerà. Ecco, diceva.
Perché troppe dita puntano sugli altri e poche richiamano alla propria responsabilità.