di Claudio Di Giuseppe
AVEZZANO – Intervista a Daniela Senese, responsabile de “La casa delle donne nella Marsica”, una realtà necessaria e interessante, presente da poco nella nostra Marsica, ma già necessaria a molte persone.
D. Daniela, ti ringraziamo per questa intervista. La prima domanda è: cos’è il centro antiviolenza, come nasce, per mano di chi?
R. La casa delle donne nella Marsica è un centro antiviolenza e una casa rifugio. Il centro antiviolenza è uno sportello che accoglie le donne vittima di violenza di ogni genere, non solo fisica; c’è un numero attivo 24 ore al giorno dove le donne possono chiamare ed avere un colloquio da tutta la Marsica. Invece la casa rifugio è una casa che accoglie le donne in un ambiente di ospitalità (ad indirizzo segreto). Abbiamo posti letto per donne e bambini, che devono lasciare la loro casa. Il progetto nasce da una cooperativa sociale di Roma, la cooperativa BeFree di Oria Gargano, che gestisce anche altri centri diffusi in tutta Italia. Il progetto è stato presentato nel 2016, vincente dal 2015 per il bando dell’ 8×1000 della Chiesa Valdese; vinto questo bando è seguita formazione e selezione di personale qualificato per il centro.
D. In Abruzzo, ci sono altre sedi oppure al momento siete una realtà unica?
R. Nella Marsica è una assoluta novità, poiché come da legge del 2013 bisogna avere determinati requisiti. I centri antiviolenza come “La casa delle donne” sono infatti luoghi dove operano delle operatrici antiviolenza, in un’ottica di genere, in un approccio femminista e sono gestiti solo da donne. Ci occupiamo da donne della violenza sulle donne.
D. E proprio questa è la domanda successiva: cos’è la violenza? Se ne parla molto e vorrei sapere cosa ne pensa una persona che la vede riflessa negli occhi altrui tutti i giorni.
R. Quando si parla di violenza sulle donne è una violenza di genere, agita sulla donna in quanto tale. E’ una violenza particolare. La maggior parte di questi crimini si consuma nelle mura domestiche, nei contesti “amorosi” (per mano di fidanzati, mariti, compagni, ex-compagni) che non accettano la fine di una relazione. Ma attenzione, per quanto si consumi in una realtà privata, la causa è culturale e non rilegata alla coppia specifica. Inoltre, ci tengo ad evidenziare, non sono realtà sporadiche come si tende a credere: dati Istat segnalano che nella loro vita almeno 2 donne su 3 hanno ricevuto una forma di violenza.
D. Riguardo le ragazze accolte, nella tua esperienza, ci sono fasce etniche/socio-culturali/o legate all’età prevalenti?
R. La cooperativa lavora nell’ambito della violenza contro le donne da un bel po’. In questi due anni, per nostra esperienza, le donne che subiscono violenza sono assolutamente di tutte le età dai 16 anni alla donna adulta di media età, spesso con bambini. Inoltre, è un crimine senza distinzione socio-culturale: si pensa (falsamente) che sia una realtà solo di una fascia socio-culturale, ma è solo perché non si conosce il fenomeno. Questo lo si pensa perché si tende ad affiancare questi episodi all’idea di un raptus, o per alterazioni o problemi psichici. E’ forviante. Quando si legge “Raptus”, non è mai un solo episodio. Gli uomini che fanno violenza fino ad arrivare addirittura all’atto di uccidere una donna lo fanno in maniera seriale. C’è sempre una storia che precede quell’atto. Le alterazioni già dette sono una minoranza e mai una causa, ma aggravano solo la situazione.
D. Come si svolge una giornata tipo nella casa rifugio?
R. Partiamo da una casa semplicemente, con donne (a volte con bambini) dove ci sono degli spazi comuni, come la cucina, e quelli più privati, come la camera da letto. Condividono la quotidianità in un luogo di passaggio (non si resta per sempre), che fa parte di quel percorso che mira alla fuoriuscita dalla violenza. Mi preme dire che “La casa antiviolenza nella Marsica” rifiuta l’idea di assistenzialismo delle donne; il principio alla base è quello dell’autodeterminazione della donna che viene ospitata. Non c’è un percorso a priori, ma è un percorso individuale per ciò che ogni donna vuole fare di sé. La donna è sostenuta in ogni sua scelta, anche per individuare la diversa condizione di colei che accede al centro, proprio perché frutto di caratteri ed esperienze diverse. E poi, bisogna tener sempre presente che i centri sono fondamentalmente “luoghi di esilio”, poiché le donne in casa-rifugio sono donne che hanno dovuto lasciare la loro casa, e spesso anche lavoro e amicizie. E questo con tutte le difficoltà economiche/fisiche/emotive che comporta lo sradicarsi dalla propria realtà e, una volta terminata l’esperienza del centro, anche le nuove difficoltà date dall’adattarsi alla “nuova vita”. La presa in carico è a 360°, offriamo patrocinio legale gratuito, per fare un esempio. Ma l’obbiettivo ultimo è di essere autonome, e non è semplice, ma la casa-rifugio deve essere un luogo di passaggio, per tornare a vivere una vita autonoma, più serena, “normale” una volta lasciato il centro.
D. Daniela, nella tua esperienza ti è mai capitato un caso di violenza “millantata”? E come si protegge un centro antiviolenza da questo?
R. Premesso che nella vita esiste tutto, nella mia esperienza non abbiamo avuto dei casi di false storie. Secondo me è un falso problema. Oltre questo, ovviamente noi siamo sempre dalla parte delle donne, poiché il problema della violenza sulle donne è un problema culturale che ha a che vedere con pregiudizi e stereotipi di una cultura ancora maschilista, che prevede ruoli e atteggiamenti consoni per un uomo e per una donna. Alla base della violenza c’è questo. E questo, oltre che in una società, si ritrova e si riflette nella vita di famiglia. Si consiglia in modo paternale cosa fare e cosa non fare, e questo è rivittimizzante. Se alla base di queste violenze c’è una subalternità, ristabilire che qualcuno ti dica cosa deve fare è un ripercorrere quelle dinamiche che sono alla base della violenza stessa. Detto ciò, tornando alla domanda principale, un episodio del genere non è mai capitato poiché la squadra che collabora nel centro è composta da psicologhe ed operatrici qualificate e formate proprio per un centro e per situazioni così particolari e delicate.
D. Un’ultima domanda: un messaggio da lasciarci dopo questa intervista?
R. Allora, per quanto riguarda le donne che subiscono violenza, è un fenomeno sommerso, ma che sappiamo essere presente (purtroppo) tanto nella Marsica quanto nel mondo. Si fa presto a dire un messaggio, ma bisogna appellarsi alle donne, che sappiano riconoscere che certi comportamenti quando violano la libertà sono già sbagliati. E per le donne presenti sul territorio marsicano, che purtroppo subiscono una condizione di violenza, le invito a rivolgersi al centro dove c’è un numero verde attivo h24; inoltre, ci tengo a precisare, una chiamata al centro non implica nulla: finanche SE fare la denuncia deve essere una libera scelta di chi si rivolge al centro. C’è ovviamente l’assoluta riservatezza e segretezza dei racconti delle donne. Per il resto, bisogna iniziare ad affrontare il problema in maniera diversa; questi non sono problemi racchiusi in una singola coppia, ma problemi che riguardano tutti. E la possibilità di non aver bisogno di nessun centro antiviolenza in futuro dipende da ciascuno di noi, uomini e donne, ed il nostro modo di vedere le cose, con la speranza di una maggiore autocoscienza per migliorarci e migliorare.
Ringraziamo Daniela Senese per l’intervista gentilmente concessa, ma soprattutto per l’importanza e l’impegno del suo centro e dei suoi collaboratori in una battaglia così necessaria e giusta, come quella alla violenza sulle donne.