AVEZZANO – E la quarantena è arrivata. Forse ce la aspettavamo, o forse no, ma ora c’è e ha dato una nuova impronta alle nostre giornate.
Siamo limitati negli spostamenti e nei contatti sociali e tutta la nostra quotidianità è stata stravolta.
Ed è così che iniziamo ad apprezzare tutti quei momenti di routine che fino a ieri ci sembravano pesanti e noiosi. Diciamocelo chiaro: i nostri rituali ci piacciono e ci danno sicurezza, sono dei puntelli a cui ci appoggiamo volentieri e che ci rendono più lieve il cammino, a volte tortuoso, della vita. E ora quei puntelli ci sono stati tolti e una sensazione di smarrimento ci sta pervadendo: la città è deserta, le poche figure umane che vi si aggirano sembrano fuggire anche dalla propria ombra, i banchi di scuola sono vuoti, i giardinetti pubblici non risuonano delle grida festose dei bambini, la primavera incipiente sembra aver perso molto del misterioso fascino che sempre emana la vita che risorge e noi vaghiamo persi alla ricerca di un senso, quando non ci lasciamo andare alla cupa malinconia. Ma, forse, possiamo trarre del buono, anche da questo momento drammatico.
Come?
Intanto, iniziare ad amare le nostre piccole abitudini e i nostri rituali che abbiamo nella “normalità” e che ora acquistano il sapore della sacralità, non è cosa da poco e ci farà gustare la vita che palpita nell’attimo e dell’attimo: non attendiamo domani, viviamo ora: hic et nunc, dicevano gli antichi saggi, hic et nunc, dice ancora la sapiente poesia giapponese dello haiku… parole tante volte ascoltate, ma presto dimenticate e perdute nella cascata delle nostre lamentele.
Poi, possiamo approfittare per prendere contatto con la nostra… solitudine.
Respiriamo, prendiamo il tempo della nostra vita sul nostro battito… no, non parlo di quello cardiaco, parlo del nostro battito interiore, quello che troppo spesso non ascoltiamo, che prevarichiamo con la nostra fretta, il nostro efficientismo, quello in cui risiedono i nostri slanci, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, i nostri sorrisi più veri e radiosi; quello che ci fa essere davvero noi, per intenderci. Usciamo dalla nostra armatura robotica e incontriamo noi stessi per incontrare, finalmente, anche l’altro e per entrare in contatto con il cuore stesso del mondo. Ed ecco che la solitudine può diventare un’opportunità di conoscenza che si trasforma in sapienza e quindi in saggezza; può trasformarsi in occasione di… inclusione. Se ne parla tanto, specialmente a scuola: inclusiva è aggettivo qualificativo di didattica, un must per i docenti e per tutti gli operatori della scuola. Ora possiamo diventare inclusivi con noi stessi, per raggiungere quegli obiettivi che, strada facendo, abbiamo messo nel dimenticatoio.
Un’ultima cosa: possiamo riscoprire il senso del bello.
Passeggiate all’aria aperta, nel silenzio carico delle eterne voci della natura che ci parla ovunque della sua forza e della sua fierezza, della sua speranza, della sua certezza del perpetuo ritorno della primavera, nel lento, ma inesorabile, fluire delle stagioni, possono infonderci una nuova linfa e aprire il nostro cuore al sorriso e al coraggio e, anche da una cesura profonda come questa che stiamo vivendo, possono nascere nuovi germogli di vita e umanità.