di Roberta Placida
AVEZZANO – A tu per tu con la Sacra Sindone, sabato 21 aprile, nella Chiesa San Giovanni ad Avezzano, alle ore 16. La professoressa di scienze naturali e celebre sindonologa, Emanuela Marinelli, che da 40 anni studia il telo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto Gesù nel sepolcro, terrà una conferenza dal titolo: “La Sindone: indagine su un mistero”.
Sarà una presentazione scientifica del sacro telo di cui sarà mostrata una riproduzione a grandezza naturale. La Sacra Sindone è un mistero che affascina da secoli sia l’uomo di fede che il laico: essa è davvero il sudario di Gesù di Nazareth, l’uomo dei Vangeli, il Figlio di Dio? Se davvero fosse così, non solo avremmo una “fotografia” del Cristo, ma avremmo la prova del mistero che è il fondamento stesso del cristianesimo: la resurrezione del Nazareno. E non è un caso che la Marinelli affermi: «Guardare la Sindone è come leggere il “quinto Vangelo”. Si ha la sensazione di affacciarsi sulla soglia del mistero della Risurrezione di Cristo».
Ma cosa è di preciso la Sindone? Quale è la storia che l’ha portata fino a noi? Quali le prove scientifiche della sua origine? Si tratta di un lenzuolo di lino delle dimensioni di m. 4,41 x 1.13 circa che avrebbe avvolto il corpo di un uomo crocifisso dopo avere subito innumerevoli torture: sul verso del telo è visibile l’immagine frontale e dorsale di un uomo che sul retro del lenzuolo non è visibile. Compare la prima volta intorno al 200 e fino al 944 fu esposta più volte a Edessa in Mesopotamia. Dal 944 fino al 1204 fu portata ed esposta a Costantinopoli. “Scompare” per oltre 100 anni e ricompare a Lirey (nel nord della Francia) nel 1355 e nel 1502 a Chambery dove, nel 1532, subì un grave incendio e fu danneggiata. Due anni dopo, le suore Clarisse cercarono di rattopparla: Emanuele Filiberto portò definitivamente la Sindone a Torino il 14 settembre del 1578, dove è tuttora conservata nel Duomo. Nel 1988 si inizia a indagare scientificamente sulla sua origine: la Sindone è sottoposta alla datazione al Carbonio 14 che dà un risultato deludente per la Chiesa: il telo sarebbe di epoca medievale e databile intorno al 1325 dopo Cristo. Ma la Marinelli non ci sta e afferma con forza: «L’angolo del telo sottoposto all’analisi risultò essere stato manipolato, rammendato, inquinato da funghi e batteri. Se il campione era inquinato, la datazione poteva riferirsi alle tracce lasciate da polveri e manipolazioni».
L’”inquinamento delle prove” fu dovuto, molto probabilmente anche all’opera di rammendo delle Clarisse dopo l’incendio del 1532. Si arriva al 2008, a Roma: dei ricercatori italiani hanno “ricreato” la Sindone irradiando tessuti di lino con un brevissimo e potentissimo lampo di luce prodotto da un laser, sono riusciti a imprimere immagini che avrebbero le stesse caratteristiche della figura impressa sulla Sindone, confermando in qualche modo che l’impronta, dovuta a disidratazione e ossidazione delle fibrille superficiali del lino, si può spiegare solo ammettendo che il corpo abbia emesso una radiazione luminosa, confermando in qualche modo che l’immagine di Cristo sia stata originata dall’ potente lampo di luce attribuito alla Resurrezione. I detrattori continuano ad attribuire “l’opera” ad un “falsario” medievale, ma diverse cose non tornerebbero: nel Medio Evo l’iconografia classica di Gesù lo vede con una corona circolare di spine sul capo, mentre porta la croce lungo la via del Calvario. Invece, e la Sindone lo confermerebbe, Gesù aveva una corona a forma di casco e portò sulle spalle solo il braccio più lungo della Croce, il cosiddetto “patibulum”; infine, nel telo le ferite ai polsi corrispondono alla posizione in cui i Romani inchiodavano le braccia (non sul palmo come i quadri medievali mostrano). Insomma, la Sindone, resta ancora un enigma quasi insolubile e le nuove metodologie investigative (spettografia tecnologicamente avanzata) hanno letteralmente “fatto un po’ di luce”, ma si è ancora lontani dal svelare tutti i segreti di un mistero affascinante che forse deve rimanere tale per permettere ancora ai credenti di credere e dubitare, ai non credenti di avvicinarsi con rispetto alle sofferenze di un uomo torturato e ucciso: poco importa se colpevole, perché mai è giusta una “sentenza che decreta morte”; per permettere, infine, agli scienziati di esercitare con onestà intellettuale il loro libero pensiero e perseguire la ricerca della verità.
Ed è con la fiducia del credente e la curiosità intellettuale dello scienziato che attendiamo l’incontro di sabato con la prof.ssa Emanuela Marinelli.