ROMA – Premessa: se cercate in questo articolo la solita paccottiglia relativa alla piramide di Cheope, al suo orientamento, alla maschera funeraria di Tutankhamon, alla sua morte ancora incerta o alla mummificazione in generale, non troverete nulla di tutto questo. Daremo uno sguardo ad alcune “Particolarità” dell’Antico Egitto che sono forse molto più “gustose” e meno note.
“Imotep quante volte t’ho detto di non lasciare la luce accesa?”
“Scusa mamma la spengo subito, poi scappo: mi aspettano al bowling”
Questa è una scenetta familiare che non desterebbe alcuna curiosità se non per il fatto che avrebbe potuto aver luogo a Tebe, in Egitto, nel XV secolo a.C. .
Ho destato la vostra curiosità eh? Parliamone…
Auguste Mariette, il francese che fondò il museo archeologico del Cairo, scavando vicino a Tebe, nel tempio di Hator cosa ti va a trovare? Uno strano bassorilievo che raffigura alcuni sacerdoti nell’atto di sorreggere quelle che potrebbero apparire come delle grosse lampadine simili a “tubi di Crookes” Le lampadine sono dotate di cordone di alimentazione collegato a quello che sembra un generatore. Nelle foto il ritrovamento di Mariette e il tubo di Crooks. L’archeologia ci dice, però, che il bassorilievo rappresenterebbe il serpente primordiale che si erge dal bocciolo del fiore di loto (allungato graficamente per contenere il serpente).
Vedendo le due immagini, mi sorge un dubbio: o la rappresentazione è quella di un loto per cui Crooks aveva costruito un “loto elettrico” (scherzo), oppure aveva realizzato il tubo omonimo ma anticipato dagli egiziani. D’altro canto, questa scoperta spiegherebbe come il popolo del Nilo sarebbe riuscito ad affrescare tante tombe e corridoi sotterranei dati gli esigui sistemi di illuminazione disponibili all’epoca, come l’uso delle torce (ma non si sono trovati segni di fuliggine) oppure con specchi di rame che, però, non potevano trasmettere tanta luminosità. A conforto della teoria, Joseph Norman Lockyer, con buona pace di Edison, affermò che si trattava delle rappresentazioni di lampade elettriche ad incandescenza simili ai tubi di Crookes e che questo documentasse le conoscenze degli antichi egizi sull’elettricità. Lockyer non era mica uno scienziatucolo da quattro soldi, scoprì l’Elio e fondò la prestigiosa rivista scientifica “Nature” e scusate se è poco.
Ma non c’è lampadina senza corrente.
A Khuyut Rabbou’a (Bagdad), nel 1936 durante gli scavi, fu rinvenuta un’anfora ovoidale di terracotta alta 15 centimetri (foto a sinistra) e impermeabilizzata internamente con bitume, che sembrava una bomba a mano. Nell’imboccatura, otturata da un tappo, della piccola anfora, c’era un cilindro di rame, molto corroso con all’interno una barretta di ferro pure questa corrosa (insomma c’è l’immagine, guardatevela). Naturalmente gli archeologi, al solito, la classificarono come ‘oggetto di culto’; mi chiedo: che razza di culto poteva annoverare tra i suoi “attrezzi” un manufatto del genere? Successivamente, però, lo studioso tedesco König pose la parola definitiva identificandola come “elemento di una batteria elettrica”. Pensate che aggiungendo al suo interno un acido debole, come ad esempio il succo di limone, il dispositivo è in grado di produrre circa un volt e usando acidi più potenti, anche di più (povero Alessandro Volta!). A conferma di questa teoria, nel 1980, l’egittologo Arne Eggebrecht utilizzò una riproduzione della batteria, piena di succo d’uva, che produsse elettricità sufficiente per placcare, utilizzando una soluzione di cianuro d’oro, una statuetta, in due ore, spiegando il ritrovamento di monili egizi così trattati. Naturalmente c’è chi sostiene che la placcatura poteva essere effettuata attraverso un complesso processo che prevedeva l’uso del mercurio, ma il rasoio di Occam mi fa abbandonare questa spiegazione.
Una partita a bowling col giovane Imotep.
Dovete sapere che una missione archeologica dell’Università di Pisa organizzata sul sito di Narmouthis ha riportato alla luce quella che può essere considerata la più antica pista da “bowling” della storia. Il gioco era effettuato all’aperto, su un apposito pavimento realizzato con mattoni di limo, il fango del Nilo. La pista risale ad una età compresa tra il III e II secolo Avanti Cristo. è lunga 4 metri e termina in una buca di 12 cm di diametro contenente un vaso nel suo interno; assieme alla pista sono state ritrovate due bocce di pietra levigata di dimensioni differenti. Questo il ritrovamento, ma diamo una occhiata al nostro amico per vedere come si gioca.
Imotep afferra la palla più piccola e la lancia nella scanalatura per farla andare in buca mentre, allo stesso tempo, noi lanciamo quella più grossa nel tentativo di impedirgli di fare centro. A punto fatto ci scambiamo i ruoli e via così. Naturalmente vince chi fa più centri con la palla piccola nella buca.
Potremmo, poi, continuare il nostro gioco con le grosse bocce di pietra e i birilli ritrovati a Fayoum, 90 chilometri a sud del Cairo. Ebbene, checchè se ne dica, pare che 5.000 anni fa, gli antichi egizi giocassero veramente a bowling.
E ora “a me gli occhi!” Che poi non è una battuta da illusionista o ipnotizzatore ma è quello che uno scultore egizio poteva chiedere ai suoi assistenti al termine della realizzazione di una testa.
Una delle curiosità più stimolanti dell’Antico Egitto riguarda, infatti, le statue con gli occhi di vetro.
Avrete avuto occasione di vedere statue egizie con gli occhi dipinti. Cosa pensereste se vi dicessi che gli egizi impiantavano in alcune sculture occhi di cristallo a perfetta somiglianza di quelli umani? Non ci credete? Ve lo racconto.
Gli occhi erano ricavati da quarzo e da cristallo di rocca. Le iridi cristalline erano delle lenti convesse molate e levigate a tal punto da chiedersi come fosse stato possibile realizzarle senza una attrezzatura moderna. Le lenti erano in grado di ingrandire la pupilla dipinta sul retro che era realizzata usando una pasta di colore nero o inserendo un pezzetto di ebano. La cosa conferiva all’occhio della statua un’espressione viva e fedele al naturale. Come se non bastasse, la lente dava l’impressione che lo sguardo della statua seguisse l’osservatore.
Dopo gli occhi, i piedi, perché gli egizi inventavano e costruivano di tutto. Nel 2000 fu scoperta a Tebe una mummia con una protesi: un pollicione del piede.
La mummia appartenuta a una donna di circa 50-60 anni portava al piede destro un alluce finto fatto di legno e pelle che, secondo gli scienziati del Centro KNH di egittologia biomedica dell’Università di Manchester, era servito proprio come protesi funzionale. Il pollicione risale a circa 3500 anni fa, è articolato in più pezzi e mostra segni d’usura a riprova del suo effettivo utilizzo.
Come vedete tutto pare ripetersi all’infinito e ciò che è stato scoperto oggi era già noto millenni orsono, però la ricerca e la trattazione di queste cose affascina e coinvolge chi scrive e spero, coloro che leggono.
Per finire, una chicca:
Sapete nulla di un manufatto inquieto che ruota su se stesso da solo? Ebbene nel Museo di Manchester una statuetta egiziana dopo essere stata ferma per 80 anni nella sua teca, si muove da sola, ruotando su sé stessa di 180 gradi. Il reperto ha 4.000 anni e rappresenta un’offerta votiva al dio egizio Osiride. Proviene dalla tomba di un tal Neb-Senu, vissuto in Egitto nel 1.800 a.C. La scultura è stata realizzata in serpentino, una pietra considerata magica dagli assiri. La chiave della teca è custodita dal solo curatore del museo: Campbell Price. Naturalmente il bravo Campbell ha fatto installare una telecamera per documentare il fenomeno. (guardatevi la clip, a fine articolo, girata ad alta velocità: la statuetta è quella scura, più alta, in secondo piano)
Con grande originalità e genio Price dice che la statua potrebbe contenere lo “spirito” di qualcuno morto migliaia di anni or sono: Ma guarda un po’: la statua fu ritrovata in una tomba…! A spiegare il fenomeno non mancano i geni veri, infatti il fisico inglese Brian Cox. Mette in campo una cosa chiamata “attrito differenziale” secondo la quale i passi dei visitatori fanno ruotare la statua. Peccato che fino a ottanta anni fa la statua se ne stava ferma allo stesso posto!
Potrei raccontarvi di mille altre cose ancora. Vi lascio con una domanda: come mai le tre piramidi di Cheope, Chefren e Micerino sono perfettamente allineate alle stelle Alnitak, Alnilam e Mintaka che prendono il nome di cintura di Orione?
(DISEGNO IN COPERTINA DI NICOLE PALLADINI)