VILLETTA BARREA – Come spesso si sente dire, la Montagna, le Aree interne, nonostante le loro potenzialità assolutamente straordinarie per tante risorse paesaggistiche e culturali, soffrono spesso di un male finora inguaribile: l’abbandono di numerosi giovani, che vanno alla ricerca all’estero o anche nelle megalopoli italiane, di un proprio futuro. Sembra proprio che non considerino per nulla che la loro qualità di vita sarebbe infinitamente migliore, se mettessero in conto tutte le qualità di casa propria e se delle amministrazioni meno miopi li sostenessero con un ruolo d’indirizzo e affiancamento.
Ma qualcosa di nuovo sotto il sole dell’Alto Sangro oggi c’è davvero. Si tratta di una mostra dal titolo “Paesaggi, piante e nuvole” di due giovani artisti abruzzesi: Marco De Angelis e Alessandro Antonucci, ospitata fino al prossimo 31 agosto nello storico e bel Palazzo Dorotea di Villetta Barrea (Aq).
Si tratta di artisti accomunati da una lunga ricerca artistica e da una sottile affinità che li vede impegnati sui temi della natura e del paesaggio, con declinazioni che spaziano dalla pittura all’incisione, dalla scultura al bassorilievo in terracotta.
D: «Perché questo titolo e come nasce questa mostra?»
«È un titolo rappresentativo delle nostre reciproche ricerche, riguardanti il legame profondo che ci unisce alla natura, intesa come motivo alla base delle nostre scelte di vita e come fonte inesauribile delle nostre espressioni artistiche».
D: «Qual è il vostro campo di ricerca, nello specifico?»
Dice Marco de Angelis: «Mio interesse principale è lo studio e l’esperienza del “limite: partendo da un tratto stilistico di tipo tonale (nel senso di condensazioni successive di colori e di segni, ma anche di tecniche differenti sovrapposte), procedo sino alla scomposizione–trasformazione dell’oggetto rappresentato. Ottengo in tal modo lo sfaldamento della linea di confine, del margine segnato e definito dalla matita e la fuoriuscita del colore all’esterno, in quella zona intermedia tra gli oggetti, una zona definita di nessuno, di passaggi e di contaminazioni che permette l’accesso ad una dimensione altra, una dimensione sospesa tra il sogno ed il reale. Il mio è dunque un lavoro sul viaggio attraverso luoghi e forme che vivono in frontiera, con l’intento di far emergere dal mio sottosuolo immagini interne legate sì a ricordi, fantasie, sogni, ma anche alla necessità e bisogno assoluto di noi tutti di ricomporre l’insieme separato delle figure in un unico ecosistema. Paesaggio per me è dunque il passaggio nella linea di demarcazione tra i mondi della dualità: esterno e interno, dentro e fuori, passato e presente, in una dimensione sospesa tra il sogno e il reale».
«In parallelo, la mia ricerca – risponde Alessandro Antonucci – verte sull’osservazione degli “eventi” e dei fenomeni naturali che cerco di cogliere nella loro essenza e nella loro “intimità” riducendo al minimo l’intervento su di essi. È il caso della serie “Intimità delle foglie” o delle “Impressioni vegetali”, realizzate in terracotta e gesso alabastrino, visibili nella mostra. Le esperienze condotte nell’ambito dell’arte ambientale, a partire dal 1987, descrivono un mio percorso rivolto alla registrazione e re-interpretazione della natura, a volte “giocando” sulle caratteristiche fisiche e chimiche dei materiali, a volte lavorando sul rapporto uomo-natura».
D: «Perché questa mostra a Villetta Barrea?»
«Ci è sembrata, continua Antonucci, particolarmente significativa l’unione tra arti contemporanee e natura. L’esistenza del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise con le sue specie protette vegetali e animali può essere un luogo anche di proposta innovativa per l’Arte contemporanea. Oggi Arte e Natura è una direzione verso cui si muovono molti artisti, nelle arti figurative, nel teatro, nella danza ecc. perché l’arte crea un dialogo e una relazione profonda con il paesaggio di cui arricchisce la naturale bellezza. Noi abbiamo voluto sottolineare l’autenticità del patrimonio di questi luoghi, dove esiste un rapporto profondo e antico tra Persone e Natura. E non solo per la necessità di fare cultura nei piccoli centri, troppo spesso tagliati fuori dai grandi e importanti circuiti d’arte, ma per il desiderio di fornire chiavi di accesso per accedere al sacro della natura, pur giocando con elementi come il legno, le foglie, le cortecce, il muschio, i sassi ecc e assumendo materiali, a volte imprevedibili, come il gesso alabastrino, il cemento, i minerali: ferro, l’argilla ecc. La mia personale ricerca è soprattutto con le piante selvatiche ed è ispirata ai principi della neurobiologia vegetale, una delle recenti correnti scientifiche, che ribalta il ruolo delle piante all’interno dell’ecosistema. Le piante infatti sono capaci di pensare, di sentire come un essere umano. Ma molto più dell’uomo, hanno l’intelligenza di adattarsi all’evoluzione dell’ambiente, capendo, tempestivamente, come contrastare i cambiamenti di clima e gli interventi nefasti dell’uomo, al fine di riuscire a sopravvivere». Informazioni al 340 3174515.