AVEZZANO – Fuochi accesi, cottore, panette, preghiere, processioni, è la notte di Sant’Antonio Abate, uno dei santi più popolari e che raccoglie la devozione di milioni di fedeli in tutto il pianeta. In Italia ed in Abruzzo, poi, Sant’Antonio Abate è una figura di esempio, una fonte cui rivolgersi in preghiera per ottenere protezione e intercessione.
Ma quale la vera storia di Sant’Antonio Abate? Innanzitutto veniva da molto lontano, per la precisione da Coma, in Egitto, l’attuale Qumans, un villaggio a poca distanza dal deserto, e la sua famiglia era benestante. Il futuro Sant’Antonio, però, attratto dalla vita evangelica che chiedeva di lasciare ogni bene, venderlo e darlo ai poveri per poi seguire Cristo, Sant’Antonio seguì alla lettera l’insegnamento. Vendette i suoi beni, affidò al sorella ad una comunità di vergini ed iniziò la sua vita ascetica. Aveva solo vent’anni.
Ispirato da Dio, Sant’Antonio improntò la sua vita al lavoro e alla preghiera e tutto quello che aveva era indirizzato ai poveri. Dopo un po’, però, iniziò ad essere perseguitato dalle tentazioni di una vita più agiata, dal possesso dei beni materiai e dalle donne. Spaventato da ciò, chiese consiglio ad altri asceti che lo invitarono a recarsi in un luogo più solitario e ad abbandonare ogni legame e possedimento. Così fece andandosi a rifugiare in una tomba scavata nella roccia di una collina, poco fuori dalla sua città. Qui oltre alle tentazioni, lo misero alla prova terrificanti visioni, suoni e frastuoni e altri dolori, strumenti con i quali Satana cercava di far cadere Sant’Antonio e che lui superò compiendo, come gli avevano insegnato altri asceti, la volontà di Dio. Alla fine Cristo gli si mostrò e Sant’Antonio gli disse: «Dov’eri? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le mie sofferenze?». Si sentì rispondere: «Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua lotta…».
La sua fama dilagò in tutto il Mediterraneo, fondò un monastero a Gaza in Palestina e un luogo di ritiro e preghiera nel Mar Rosso. Alla fine si trasferì definitivamente nella Tebaide, nall’alto Egitto dove, con alcuni discepoli, coltivava l’orto e faceva altre attività, oltre alla preghiera e all’ascolto. Qui morì il 17 gennaio del 356 all’età di 106 anni. A lui sono associate le figure del maiale, animale che gli Antoniani potevano allevare su permesso del Papa e col cui grasso si curava un herpes che poi fu chiamato “Fuoco di Sant’Antonio” dalle piaghe che Satana cercò di infliggere al santo, del Tau, dalla forma del bastone, ultima lettera dell’alfabeto ebraico, simbolo quindi delle cose più umili e del destino e ultimo simbolo è il fuoco, figlio di una leggenda secondo la quale Sant’Antonio entrò all’inferno col suo maialino per contendere della anime a Satana. Mentre il maialino portava scompiglio fra i demoni, Sant’Antonio accese il fuoco dalle fiamme eterne col suo bastone e portò fuori le anime e anche il maialino. Di qui il santo del popolo e delle campagne, protettore delle fattorie, degli animali e degli allevamenti. Ancora oggi, nella notte di Sant’Antonio, si accedono fuochi e cataste di legno per celebrare la sua festa.
Collelongo è forse il centro in Italia dove la devozione per questo santo è altissima. Fra qualche ora, infatti, inizieranno ad ardere i torcioni, grandi fuochi che illumineranno la notte di Sant’Antonio, mentre tutto intorno brilleranno altri fuochi dove sorgeranno le “cottore” per cuocere il granturco ed i “cicerocchi”, patti tipici di questa tradizione. I fuochi resteranno accesi e si pregherà Sant’Antonio per chiederne a protezione soprattutto dagli incendi delle stalle. Domani mattina, quindi, ci sarà la sfilata in processione e tutte le manifestazioni connesse questa bellissima ed antichissima festa, i primis, in Piazza Ara dei Santi, la benedizione degli animali.
A Collelongo la tradizione di Sant’Antonio risale ai primi anni del 1600 quando si hanno le prime annotazioni di nascite, morti e matrimoni nonché sepolture sotto il piano della chiesa parrocchiale. In una di queste annotazioni si parla della sepoltura sotto il pilastro di Sant’Antonio di Filippo Di Donato Cesta. Nella chiesa parrocchiale del paese, ovviamente, c’è una magnifica statua di Sant’Antonio sulla cui realizzazione sono attive due storie leggendarie. La prima vuole che due contadini, invocando il Santo, scamparono ad un masso di pietra precipitato a valle a da questo i due contadini fecero scolpire la statua. Un altro racconto, invece, vuole che la statua sia stata realizzata da un masso, proveniente da Pizzo Morrone, che, dopo vari tentativi andati a vuoto con possenti buoi, fu trasportata da una coppia di giovenche al cui padron era apparso in sogno Sant’Antonio.
Durante i giorni di festa la statua viene adornata. Fino a qualche anno fa si utilizzavano “uova fetate” salsicce e le tradizionali “panette”, ma, da qualche tempo in qua, il Santo viene contornati di arance, a simboleggiare l’unico elemento di colore e vita in un periodo in cui non fruttifera e non fiorisce nulla.
Sant’Antonio Abate santo dei poveri, delle anime, degli animali, della meditazione, del lavoro, della preghiera, della lotta al male, della resistenza a Satana. Un santo che viene da un altro modo e da un’altra civiltà. Sant’Antonio Abate, armato del suo Tau e col suo maialino, simbolo di tutto ciò che oggi vene messo all’angolo, ritenuto inutile e quasi da nascondere. La povertà, l’essere diverso e straniero, il darsi agli altri, i lavoro come valore, la ricchezza come peccato. A Sant’Antonio vogliamo chiedere, in questa notte a lui dedicata, di riportare nel modo e nelle nostre vite i suoi valori e la sua forza affinché si possa tornare semplicemente umani.