CELANO – Era il 13 gennaio del 1915, quando un terremoto, passato alla storia come il più distruttivo e drammatico per numero di vittime (più di trentamila) colpì la Marsica. In quella mattina di 104 anni fa un forte boato svegliò tutta la popolazione marsicana, lasciando dietro di sé solo terrore e distruzione. Celano contò circa 1118 morti.
Chiunque si sia recato nel cimitero di Celano, ha visto una statua raffigurante una donna con un braccio teso, atto a ripararsi con un lenzuolo. Non tutti sanno il perché di quel monumento e soprattutto cosa rappresenti.
«Sono molto legata a Mariannina Letta – ci racconta con voce quasi rotta dal pianto, la professoressa Elisabetta Longhini Carusi, madre del Maestro di fama internazionale, Nazzareno Carusi – perché sua nipote, cioè la figlia di Cicetta, sorella di Mariannina, è stata come dico io, la mia vicemamma. È lei, che quando avevo cinque anni mi ha messo le mani sul pianoforte, perché era una pianista. Io stavo spesso con lei perchè era amica della mia mamma, ed è lei che ha seguito Nazzareno nei primi anni di studio. Quindi, il pianoforte, se è entrato in casa, è dovuto alla nipote di Mariannina Letta. Ho avuto il piacere di conoscere bene il Notaio Paolini, che suonava il violino e trascorreva molte serate in casa di zia Ninì, come la chiamavo io, esibendosi in duo».
La signora Carusi, ci narra, emozionata, del terremoto di quel tempo, rivissuto tramite i ricordi di chi, a quel tragico evento, è riuscito a sopravvivere. Mariannina Letta, che apparteneva ad una famiglia benestante, era promessa sposa al Notaio Nino Paolini. Di lì a qualche giorno si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio. ll sogno di una vita insieme, però, fu infranto in quella terribile mattina, perché Mariannina, purtroppo, fu sommersa dalle macerie della sua stessa casa. Alla ragazza, la famiglia, insieme al notaio, dedicò la famosa statua marmorea. L’amore di una madre e di un innamorato, scolpisce nel marmo il ricordo duraturo della giovane e vince sulla morte e sull’oblio del tempo anche contro la forza distruttiva della natura.
«Nina Marrama, figliola dell’avvocato Marrama, marito della sorella di Mariannina, mi regalò, a suo tempo alcune cose del corredo della futura sposa, esposto poi in una mostra di ricamo e cucito organizzata con l’Associazione Anziani di Celano, di cui sono presidente. Qualche anno fa è stato istituito “L’angolo della memoria”, e la prima edizione è stata dedicata proprio a Mariannina Letta, esponendo qualche asciugamano, delle federe, un lenzuolo e altri lavori del tempo, che portano ricamate le sue iniziali», continua la signora Carusi.
«In quella occasione scrissi “Il sogno infranto”, una storia alla quale mi sono ispirata io, come ha fatto anche l’Avvocato Di Renzo, nipote del promesso sposo:
13 Gennaio 1915. Quel giorno il sole non poté risplendere.Nuvole dense s’innalzarono al cielo e l’oscurarono. Ma il buIO più tenebroso era nell’animo dei sopravvissuti ai trentamila innocenti ghermiti dal “Mostro”, che all’improvviso scatenò la sua furia devastatrice sulla terra marsicana.
Tra le vittime ci fu anche lei, Mariannina, giovane fanciulla strappata ai suoi sogni di futura sposa.
Si, sognava Mariannina, sognava la sua festa di nozze con l’amato Nino.
Il corredo era pronto, la data era fissata, la mente vagheggiava segreti momenti d’amore, ma queste federe di lino, così sapientemente ricamate e qui esposte, non conobbero il calore della felicità coniugale. Rimasero fredde, chiuse nella cassapanca”.
Nino restò disperatamente solo e la madre, donna Mariuccia, conobbe il pianto antico di carducciana memoria. Il conforto della preghiera la sostenne e, quasi a voler dare una seconda vita a sua figlia, fece scolpire nel marmo un bel monumento, che tutti possiamo ammirare al cimitero, il ricordo duraturo di lei.
E, attraverso lei, vive la memoria degli altri figli: tanti, di ogni età e delle tante mamme, dei tanti papà, dei tanti nonni, dei tanti parenti e amici che, nel giorno dell’ira della natura salirono al cielo.
Quanti rimasero, forse, si sentirono come “formiche nere sulla terra nera”: Dio però li vide e dette loro la forza di ricominciare a vivere e combattere per ricostruire i luoghi dell’anima: la famiglia, il paese, la patria”.
“Non dormì quella notte Mariannina, il vento di tramontana soffiò impetuoso per tutto il tempo, ma lei non lo udì; non poteva. In quelle ore nel suo cuore e nella sua mente non v’era posto che per lui, per Nino, l’uomo del quale era innamorata e che, di lì a qualche giorno, l’avrebbe condotta sull’altare. Sposa e madre felice, questo il futuro che immaginò per sé nell’ultima notte. Anche Nino, il giovane notaio-violinista di belle speranze, non chiuse occhio: nel buio della sua stanza non pensò che a lei, solo a lei, alla sua sposa, alla futura madre dei suoi figli. La immaginò sorridente, avvolta nel bianco abito da sposa che avrebbe indossato per lui nel giorno più bello; quel giorno ormai vicino, tanto vicino. Entrambi attesero con trepidazione il nuovo dì: doveva essere un giorno importante da dedicare agli acquisti, ai preparativi della cerimonia nuziale, alla cura di ogni dettaglio. Da tempo in paese tutti commentavano l’imminente unione con curiosità, quasi si trattasse di un matrimonio morganatico. Ma a loro questo non interessava: si erano conosciuti lì, alla salita del corso Umberto, abitavano vicini di tal che potevano incontrarsi ogni volta che volevano. Si erano promessi amore eterno, si amavano con passione e con un trasporto romantico d’altri tempi. Si erano salutati la sera con un bacio ed una promessa: all’indomani si sarebbero recati in treno a Sulmona e lì avrebbero acquistato mille confetti bianchi da abbinare ad altrettanti fiori dello stesso colore scelti per adornare la chiesa di S. Giovanni. L’alba del nuovo giorno tardò ad arrivare, con i primi chiarori lo spirare del vento sembrò essersi attenuato; ma quanto freddo fuori! La tenue luce rosa di quell’alba sinistra e fatale iniziò a rischiarare il buio di una notte infinita; Mariannina scese dal letto e cercò invano di guardare fuori, oltre il vetro della finestra opacizzato dal ghiaccio, poi preferì godere ancora di qualche minuto di tepore sotto le coperte mentre con i suoi occhi profondi fissava il cielo della stanza. Nino, invece, salutò il nuovo giorno con le raffinate note del suo inseparabile violino. All’improvviso dai precordi della terra si levò un boato spaventoso, ogni cosa cominciò a tremare come in preda ad un brivido inarrestabile: una mano titanica, terribile ed invisibile scosse lo spazio ed il tempo e in un attimo infinito tutto venne travolto, anche la giovane esistenza di Mariannina. Mentre le mura si sgretolavano su di lei, forse ebbe il tempo di capire che la natura impazzita stava violentato il suo destino, spezzando per sempre il suo sogno: non moglie e madre felice ma giovane martire della forza incontrollabile degli elementi sulla quale la volontà dell’uomo nulla può. Anche il destino di Nino subì violenza: in quel mattino da tregenda la perfidia della natura lo risparmiò ma, separandolo per sempre dalla sua sposa, gli impose un futuro di rimpianto e di angoscia. Vagò inebetito tra le macerie, scavò con le mani, reclutò dei militari che scavarono senza tregua; scavarono là, all’inizio del corso nel luogo d’incontro con Mariannina dove fino a pochi attimi prima si ergeva la casa dei Marrama e dove ora terra, fango e polvere coprivano la sua amata. Ad un tratto si udì un flebile lamento provenire da quel cumulo informe di macerie; la speranza si riaccese, ma il lavoro alacre dei soldati donò la salvezza ad un’anziana donna e non a lei. Non fu solo tragica la sorte di Mariannina, fu anche beffarda. Scavarono ancora i soldati, scavarono qualche metro più in là; disperatamente continuò a scavare anche il giovane notaio, scavò per ore con le mani sanguinanti. Nulla avrebbe potuto fermarlo. Finalmente trovarono Mariannina: giaceva esanime sotto una grossa trave di legno, seminuda, con un braccio alzato a coprirsi il volto; stringeva in mano il lenzuolo con il quale tentò di ripararsi in un estremo ed istintivo gesto di difesa e di conservazione. Venne esposta in un’improvvisata camera ardente ricavata in una delle poche case di via L’Aquila che resistette al tremendo sisma: qualcuno pietosamente la vestì con l’abito da sposa rinvenuto tra le macerie. Frastornato, senza più forze né lacrime, con il violino poggiato sulle gambe, Nino le strinse le mani per un giorno intero. Infine il suo corpo umiliato venne trasportato al cimitero dove, “immobili”, l’attendevano altri mille compagni di sventura. Nel surreale clima di dolorosa desolazione provocato dall’immane catastrofe riecheggiò il suono nobile e melodioso del violino: fu quella una struggente serenata, ma non fu l’ultima. Per anni Nino, ogni sera, si recò al cimitero; tante volte ancora il suo violino suonò note melodiose sulla tomba della sposa rapita ed ogni volta il commiato fu sempre lo stesso: «Buona notte Mariannina, a domani». Quando poi il destino forzato dal terremoto lo portò lontano dal suo paese disastrato, volle fare un ultimo regalo a Mariannina: perpetuò gli ultimi tragici istanti della sua vita facendo scolpire una statua che riproduceva la giovane donna con il braccio levato verso il cielo mentre con la mano stringeva il lenzuolo nell’ultimo disperato gesto di sopravvivenza che, vanamente, ella contrappose alla morte invincibile. La statua consunta di Mariannina morente è ancora lì, in un angolo del cimitero di Celano: ancor oggi, quasi cent’anni dopo, guardandola provoca una suggestione incontrollabile. Il vento freddo di quella remota notte d’inverno, l’alba di distruzione e di morte, il dramma umano dei sopravvissuti, il dolore del giovane notaio, il suono triste del suo violino rivivono di fronte a Lei, a Mariannina, il cui abito bianco immacolato, che veste ancora, servì per celebrare le sue nozze con l’eternità».
Da “Il sogno infranto” dell’Avvocato Agostino Di Renzo.
Foto e racconti: Professoressa Elisabetta Longhini Carusi, Avvocato Agostino Di Renzo
Come da programma oggi alle 12.00, l’Amministrazione comunale depositerà una corona di fiori sotto la statua di Mariannina, al cimitero di Celano, in ricordo di tutte le vittime del terremoto.