Percorrendo la Marsica, nei dintorni di Tagliacozzo, presso un paesino di poche anime (San Donato di Tagliacozzo appunto), ci si può imbattere in una piccola realtà artistica inaspettata, e quante in Italia! Antico paesino che la storia vuole citato col nome di “Pomperano”, in un documento del XI secolo come bene ecclesiastico, ed in una bolla di papa Pasquale II “Sancti Erasmi in Castri Sancti Donati”, si trova una chiesa cinquecentesca, Sant’Erasmo per l’appunto, che contiene un capolavoro: il Martirio di Sant’Erasmo, grande quadro posto sull’altare maggiore della chiesa risalente al XVII secolo epoca in cui venne restaurata la chiesa.
Notiamo subito che lo stile ha qualcosa di grande, di originale non comparabile con i dipinti minori della zona marsicana, la composizione ha qualcosa di autentico: mi viene in mente il famoso martirio di Sant’Erasmo di Nicolas Poussin alla pinacoteca vaticana, ma l’impostazione con Sant’Erasmo in bilico e con le braccia aperte, come ad accettare il martirio, ha una impostazione del tutto originale ed è allora che entra in gioco Pietro Testa “il Lucchesino”!
Pittore dotato quanto sfortunato nasce a Lucca nel 1612 e giovanissimo arriva a Roma nell’ambiente culturale di Cassiano del Pozzo che gli commissiona un inventario delle antichità romane; il Lucchesino, così veniva soprannominato, ebbe una vita sfortunata suicidatosi nel Tevere nel 1650 all’età di 38 anni. Ed è qui la scoperta: il Lucchesino fu un grandissimo incisore, ve ne sono numerosi rami presso la calcografia nazionale, in cui il Testa inventò nuove composizioni partendo da figurazioni già avventurose, in un periodo, quello barocco, dove si sperimentò l’esuberanza e la ricchezza delle figure nello spazio. Cercando tra le numerose incisioni del periodo, trovo un martirio di Sant’ Erasmo identico nella composizione e addirittura nella realizzazione, con il quadro di San Donato, ma cosa li lega? Come il disegno del Testa può essere finito in un paese fuori dai grandi circuiti dell’arte? Lo stile cromatico e la definizione della composizione del quadro sandonatese, rileva la sua mano fin qui innegabile, ma in una ricerca stilistica si notano ancor più i particolari delle pieghe dei mantelli e l’uso di un cromatismo veneziano- elemento fondamentale del Testa che non volle impelagarsi nel caravaggismo in voga- sono elementi che ci fanno scoprire come il piccolo centro nella marsica fosse riuscito a custodire un capolavoro non ancora del tutto decifrato. Forse il Lucchesino ha trovato un ambiente più favorevole alla sua indole saturnina, o forse, semplicemente, ha dato vita ad una sua idea grafica con magistrali tocchi di colore…sta di fatto che la sfortunata vita di Pietro Testa rivive nelle sue opere non ancora scoperte del tutto, ma questa è la fortuna del Lucchesino: la scoperta di un capolavoro sconosciuto, nascosto ai più, umile e geniale come il nostro “acquafortista malinconico” rivive custodito nella Marsica il suo talento, o almeno, il suo genio nella meraviglia dei nostri piccoli borghi.
di Mario Mei