Silvio Berlusconi amava L’Aquila. Se oggi la città è in grado di guardare al futuro e si è rialzata dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009 lo si deve anche grazie alla sua tenacia, al suo impegno e alla sua visione prospettica delle cose. Capì sin da subito la gravità di quella tragedia per cui il governo di centrodestra dell’epoca stanziò oltre dieci miliardi, fondamentali per gestire l’emergenza e le prime fasi di ricostruzione in 57 comuni dislocati su tre province abruzzesi, con centomila sfollati e, purtroppo, 309 vittime.
Dieci anni dopo quegli eventi il presidente Berlusconi è tornato in questa terra e con commozione e sincero trasporto ricordò quei giorni drammatici, rivendicando con orgoglio un’operazione senza precedenti nella storia del nostro Paese, con 4500 alloggi per dare un tetto sicuro a oltre 20mila persone e scuole pronte a settembre: iniziativa cruciale e determinante che ha consentito di scongiurare il pericolo di spopolamento di questa terra.
Ha creato un modello che funziona, sicuramente migliorabile ma che ciecamente si è scelto di non seguire in occasione di altre calamità naturali che hanno colpito l’Italia e che, invece, potrebbe essere una delle chiavi di volta per superare la crisi generata dall’alluvione in Romagna.
Ricordo che fu tra i primi a chiamarmi nel 2017, in occasione della mia prima elezione a sindaco, per congratularsi per la vittoria elettorale, mostrando quelli che erano alcuni caratteri distintivi della sua personalità: affabilità e confidenzialità grazie alle quali è stato possibile instaurare un rapporto di reciproca stima e simpatia che mi permettevo di rinverdire in occasione dei consueti e amichevoli auguri in occasione del suo compleanno, il 29 settembre.
L’Italia perde una figura che ha segnato un’epoca non solo nella politica, ma anche nella società, nell’editoria e nello sport. Questo, al di là delle appartenenze politiche, è un elemento oggettivo e incontrovertibile.