MACBETTU
Tratto dal Macbeth di William Shakespeare.
Con Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea Carroni, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino.
Regia Alessandro Serra. Traduzione in sardo e consulenza linguistica Giovanni Carroni. Musiche: pietre sonore Pinuccio Sciola. Composizioni pietre sonore: Marcellino Garau. Scene, luci, costumi Alessandro Serra. Produzione | Sardegna Teatro e compagnia Teatropersona. Con il sostegno di Fondazione Pinuccio Sciola | Cedac Circuito Regionale Sardegna.
La follia dell’uomo, la precarietà della felicità umana, la sete di potere, l’ossessione amorosa, la violenza, la vendetta, il senso di colpa: questi i temi e le problematiche che il teatro tragico di William Shakespeare affronta e declina nelle sue forme più variegate, argomenti universali che rendono le sue opere estremamente attuali in ogni epoca. Il Macbeth è la sua tragedia più cupa, dominata dalla fatalità, dalla follia, quasi apocalittica.
“Salve Macbeth, che d’ora in poi sarai re!” Tutto prende il via da questa profezia: le streghe, strumenti delle tenebre, hanno scelto il coraggioso e leale generale scozzese Macbeth come vittima predestinata a far sì che l’evento preconizzato si realizzi: da questo momento in poi il libero arbitrio di Macbeth potrebbe fargli scegliere di non commettere il male, ma l’ambizione ha il sopravvento nell’accondiscendere all’avverarsi della premonizione. Macbeth, sostenuto e incoraggiato in questo ardente desiderio di potere e di fama da uno dei personaggi più estremi di Shakespeare, Lady Macbeth, uccide il re Duncan spingendosi poi verso nefandezze sempre più ignobili, trasformandosi in un assassino ossessionato dal Male ma preda di sensi di colpa e di paranoie, fino alla deriva di una disperata follia. Perché il delitto genera delitto e determina la morte dell’anima.
La vicenda è trasferita in Barbagia. Non si tratta di una trasposizione della tragedia shakespeariana in un contesto odierno, ma al contrario di un’operazione di scavo, che ne porta alla luce le radici primigenie, arcaiche. E lo strumento di questa ricognizione, quasi archeologica, è la tradizione e la cultura barbaricina. Il cast è formato da soli uomini, come era prassi nel teatro elisabettiano del Seicento e come vuole il costume dei carnevali sardi. La lingua sarda, arricchita di filastrocche, proverbi e canti della tradizione dell’isola, è aspra, dura, di serietà tragica, e si amalgama perfettamente con la tragedia dell’uomo che per una profezia ambiziosa cede onestà e umiltà per macchiarsi l’animo e le mani del sangue di parenti, amici e innocenti.
Macbettu di Alessandro Serra s’incunea in un crocevia: da un lato le intuizioni geniali della tragedia di Shakespeare, dall’altra l’ispirazione del regista di fronte al carnevale barbaricino. Della storia shakespeariana si recupera l’universalità e la pienezza di sentimenti, dei carnevali sardi si prende una visione: uomini a viso aperto si radunano con uomini in maschere tetre e i loro passi cadenzano all’unisono il suono dei sonagli che portano addosso. “Quell’incedere di ritmo antico, un’incombente forza della natura che sta per abbattersi inesorabile, placida e al contempo inarrestabile: la foresta che avanza”: così Serra descrive la suggestiva ascendenza da cui è scaturito il suo lavoro di contaminazione.
Macbettu traduce – e volontariamente tradisce – il suo riferimento testuale, valica i confini della Scozia medievale per riprodurre un orizzonte ancestrale: la Sardegna come terreno di archetipi, orizzonte di pulsioni dionisiache.
Suggestioni ed evocazioni che riportano indietro a un teatro arcaico, a una dimensione più antica di Shakespeare, in cui temi universali come brama di potere e violenza, solitudine e inganno, vendetta e superstizione ritrovano la loro valenza primordiale. L’atmosfera è onirica, l’interpretazione rigorosa e asciutta, la regia impeccabile: è così che Macbettu rinnova la tradizione, perpetua l’universalità di Shakespeare e fa sì che il teatro continui a stupire e a coinvolgere.