AVEZZANO – Ho conosciuto Dante De Santis nei primi anni ’70, quando in maniera singolare e irripetibile divenne una speciei di tutor per me che avevo cominciato a conoscere il disegno e la pittura con il mio maestro Ennio Di Vincenzo. Nel corso di quegli anni ’70 ebbi modo di imparare a seguire il suo tratto nei disegni a china o a pennarello o, ancora, a matita: tratti sicuri, di chi vede nella mente lo schema di ciò che vuole rappresentare. Diversi esempi di quei tratti si ritrovano nella mia personale collezione anche della memoria. Ma Dante De Santis ha anche sperimentato l’olio, la tecnica dei pittori di sempre, ma anche tempera e acquerello e poi il suo dipingere sulla carta vetrata, più che un vezzo ha il sapore della ricerca di altri effetti.
Nella mostra odierna son raccolti diversi esempi della sua storia pittorica, e tra i tanti ho ritrovato due esempi di un periodo “metafisico” e due partecipazioni al Premio Avezzano che lo collocano, indiscutibilmente, nel panorama dei pittori marsicani che seppero e sanno sperimentare anche sui sentieri difficili perché son quelli dei mostri sacri e lo fanno con umiltà ma anche molte capacità tecniche e stiliste e, soprattutto, creative.
Nelle opere esposte ho trovato il frugare negli archivi della memoria per ritrovare le immagini del passato, quello della Città ma anche quello della visione personale della Città. Ho ritrovato anche il paesaggio dell’anima, quello che è tanto caro a chi vuole rappresentare la propria terra. Se dovessi sintetizzare l’opera di Dante De Santis direi che è quella nella quale la struttura di ogni quadro è soprattutto nel disegno attento, ben proporzionato, che fa da base al resto che è visione, interpretazione sulla base del ricordo. Così queste opere sono una testimonianza che unisce memoria a creatività e che vuole rappresentare un mondo che sta via via scomparendo come fanno, sovente, i sogni, allo spuntar dell’alba…
gmdp