“Se il confronto parte da una convinzione ideologica non ci può essere spazio per un dibattito obiettivo. Il settore zootecnico, e quello dei bovini in particolare, da tempo è nell’occhio del ciclone, colpevole secondo alcuni di produrre le più elevate percentuali di emissioni climalteranti. I risultati degli studi dei più autorevoli Istituti scientifici però ci dicono che non è così. Ed è su queste basi che noi vorremmo confrontarci e discutere serenamente con chi è di parere opposto”.
Lo dichiara Stefano Pignani, direttore di ANABIC (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani da Carne) l’Associazione che rappresenta le razze Chianina, Romagnola, Marchigiana, Maremmana e Podolica e che conta 5.000 allevamenti associati, distribuiti in 18 regioni per un numero complessivo di 160.000 capi di bestiame, il 70% dei quali allevati al pascolo, dove la loro presenza costituisce un insostituibile presidio del territorio soprattutto per la tutela della biodiversità.
“Se vogliamo fornire all’opinione pubblica un’informazione chiara e corretta – afferma Pignani – possiamo solo partire dai dati. Quelli che un importante Istituto come Ispra, tanto per citarne uno tra i più autorevoli, pubblica periodicamente raccogliendo e analizzando le informazioni che arrivano da tutti i settori produttivi. Compreso ovviamente quello agricolo e zootecnico. Ebbene, nel documento pubblicato nello scorso mese di maggio, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale sottolinea che nel periodo 1990-2021 le emissioni di metano prodotto dagli allevamenti bovini hanno registrato una riduzione del 14,2% sia grazie alle mutate razioni alimentari fornite al bestiame, sia per il calo dei capi allevati diminuiti del 24% e passati da 7,8 a 5,9 milioni di capi, con una flessione più marcata, -39%, per le vacche da latte, mentre i bovini da carne sono diminuiti del 17%.
Sempre i dati Ispra – continua Pignani – ci dicono che nel 2021 le emissioni prodotte dall’agricoltura italiana non hanno superato il 7,8% del totale, mentre quelle generate dal comparto dei bovini da latte e da carne si sono fermate al 4,1% del totale. Ciononostante, il settore zootecnico non si esime dalle sue responsabilità, consapevoli come siamo che si può e si deve migliorare per rispondere adeguatamente ai criteri di sostenibilità ambientale oggi sempre più imprescindibili. Quello che chiediamo e che vorremmo si realizzasse è un confronto oggettivo, basato su una corretta lettura e comunicazione dei dati scientifici, scevra da qualsiasi condizionamento ideologico tra chi vorrebbe giustificare, per il bene della società e dell’ambiente, la necessità di abbandonare gli allevamenti zootecnici, quelli bovini in particolare, e chi invece come noi è convinto del contrario.
Un altro esempio di distorsione dei dati sull’allevamento bovino che invece richiede un’analisi corretta, è quello relativo all’utilizzo dell’acqua necessaria a produrre carne. Anche in questo caso – sottolinea Stefano Pignani – possiamo citare un’autorevole fonte come l’European Livestock Voice, il Gruppo di lavoro che a livello europeo riunisce associazioni e federazioni che si occupano di allevamenti, alimentazione e salute animale e che in un recente articolo afferma che dei 15mila litri d’acqua stimati necessari per produrre un kg di carne bovina, valore spesso riportato per giustificare la mancata sostenibilità ambientale degli allevamenti bovini, il 93%, quindi quasi 14mila litri, arriva dalle piogge che bagnano i campi dove si producono colture destinate all’alimentazione del bestiame. Anche in questo caso – prosegue il direttore di ANABIC – questa affermazione è frutto di analisi accurate a cui si associa un rapporto della FAO in base al quale se dal calcolo del consumo di acqua stimato per produrre un 1 kg di carne si eliminano le piogge, il consumo idrico effettivo a carico degli allevamenti non supera l’8%. Ecco – conclude Stefano Pignani – da qui si dovrebbe partire per un confronto obiettivo. Senza dimenticare che il settore zootecnico, e quello dei bovini da carne di razze italiane rappresentate da ANABIC in particolare, affonda le sue radici in tradizioni che si sono tramandate di generazione in generazione, parla di un rapporto millenario tra animali, uomo e ambiente nel quale il bestiame è allevato e rappresenta un patrimonio ricco di valore e cultura, un presidio per il territorio e, ultimo ma non certo per importanza, una voce economica molto importante di cui è impensabile poter fare a meno”.