di Leonardo Alfatti Appetiti
La Cassazione – spiega Francesco Machina Grifeo in un interessante articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” – compie un determinante salto in avanti nell’affermazione del cd. diritto all’oblio delle persone oggetto di articoli di stampa relativi a vicende giudiziarie chiuse con l’assoluzione ma che, prima della sentenza definitiva, hanno lasciato l’indagato a macinare nel tritacarne mediatico.
Intere paginate di giornate, aggiungiamo noi, in cui l’indagato subisce veri e propri processi, anzi viene condannato per direttissima, con tanto di mega foto.
Eppure, come possono confermare anche le matricole di giurisprudenza, l’avviso di garanzia viene emesso dalla magistratura a tutela dell’indagato. Dalla presunzione di innocenza a quella di colpevolezza, tuttavia, è un attimo e non c’è diritto alla difesa che tenga.
Quando poi accade, come spesso accade, che al termine di un lungo iter giudiziario l’indagato risulti innocente, spesso gli stessi che avevano organizzato gogne mediatiche si limitano a ridurre la notizia dell’assoluzione a un trafiletto. Così che molti lettori, magari distratti, restano con il sospetto che il soggetto sia comunque un poco di buono, a prescindere.
In particolare, la questione fatta oggetto dall’ordinanza 2893 si limita a stabilire che, su richiesta della parte interessata, va inserita una scheda a margine che dia conto dell’esito del procedimento.
Così da potersi riscattare agli occhi dell’opinione pubblica. Tale questione, tuttavia, riguarda “solo” gli archivi online dei quotidiani. “Oltre alla deindicizzazione, che blocca il riemergere del nome tramite la semplice digitazione dell’anagrafica sui motori di ricerca (diventa necessaria una specifica query sul sito del giornale) – spiega ancora Machina Grifeo – la Prima sezione civile ha riconosciuto il diritto alla aggiunta in calce o a margine dell’articolo di una scheda sintetica che dia conto dell’esito assolutorio del procedimento”.
Bocciata, purtroppo, la richiesta della cancellazione del pezzo e anche della sua manipolazione, con l’introduzione di “pseudonimi sostitutivi o omissioni nominative”; un intervento che “annichilerebbe – scrive la Corte – con l’iperprotezione dei diritti alla riservatezza degli interessati la funzione di memoria storica e documentale dell’archivio del giornale”.
Il caso in questione era quello di due professionisti, un assessore e un dirigente di un comune campano, arrestati per corruzione nell’ambito della costruzione di un parcheggio presso gli scavi vesuviani. Poi assolti e infine persino risarciti per l’ingiusta detenzione subita. Chiesta la cancellazione degli articoli dagli archivi online, il quotidiano si era difeso sostenendo la verità storica di quanto riportato e affermando di aver già provveduto alla deindicizzazione mentre dovevano essere disattese le ulteriori istanze di cancellazione, trasformazione in forma anonima o blocco dei dati personali dall’archivio on-line. E il Tribunale di Napoli gli aveva dato ragione.
Riproposta la questione in Cassazione, la decisione al termine di una completa ricostruzione normativa e giurisprudenziale, anche alla luce del regolamento generale UE sulla protezione dei dati personali n. 679 del 2016 (c.d. GDPR), ha riconosciuto il diritto dei richiedenti alla completezza della informazione.