di Stefano Fabrizi
Lo storico abruzzese Luigi Mammarella, nel libro edito da Adelmo Polla “la Tiburtina Valeria itinerario storico archeologico”, in premessa, presenta questa strada consolare annoverata tra le più antiche di Roma che divenne, nel tempo, uno dei percorsi più frequentati e suggestivi della romanità.
La ferrovia Roma-Pescara e l’autostrada che lega il Tirreno all’Adriatico e le varie anastomosi mediante cui sono più agevolmente collegate le due sponde della penisola sono tutte realizzazioni che altro non sono il rinvigorimento della vecchia e gloriosa Tiburtina Valeria.
In uno dei capitoli di questo libro si parla anche delle osterie (o hostaria con la h davanti), in pratica lungo il percorso della strada si incontravano fattorie, sepolcri, catacombe e osterie dove i passanti trovavano albergo e ristoro.
In capo alla mia famiglia dal 1948 al chilometro 156 da Roma, a Castel di Ieri, dopo Forca Caruso verso Pescara, esiste ancora una di queste Osterie divenuta nel tempo Ristorante. Quelle che un tempo si chiamavano cantine, magari aperte esclusivamente nei giorni delle feste dei Patroni e delle grandi fiere di animali che si organizzavano periodicamente, quelle che per essere riconosciute appendevano una frasca fuori dalla porta dei locali, spesso delle stalle “bonificate” per l’occasione, con appesa la misura di un quarto contenente vino.
Ma volendo ripercorrere in un attimo la storia della Tiburtina e della ferrovia e, successivamente, dell’autostrada non può non notarsi la enorme differenza di pensiero decisionale dei Governanti di epoca romana da quelli risorgimentali e per finire quelli della odierna Repubblica.
Con un salto i mille anni arriviamo agli inizi del ’800 del secolo scorso con lo sviluppo tumultuoso delle strade ferrate.
Per questo capitolo di storia occorre leggere il lavoro dell’ingegnere e storico Maurilio di Giangregorio di Castel di Ieri “La ferrovia Roma-Solmona. Il Commendatore Giovanni Paolucci”. Il poderoso libro riporta, con minuziosità maniacale, una ricerca archivistica preziosissima che illustra in modo esemplare non solo il fatto in sé della costruzione della strada ferrata, opera ingegneristica ardita e per certi aspetti architettonicamente bellissima, ma analizza quelli che oggi chiamiamo “retroscena politici” sulla scelta del tracciato, che ci catapulta immediatamente ai giorni nostri.
Un passo dello scrittore e poeta di Villetta Barrea Ettore d’Orazio datato 01 luglio 1885, se si trovasse in un giornale di oggi potrebbe essere tranquillamente scambiato come un contributo al dibattito sulla utilizzazione dei fondi messi a disposizione dell’Unione Europea per il superamento dei danni della pandemia.
“La costruzione della rete ferroviaria italiana era un problema troppo arduo e complesso per poter essere sciolto saggiamente dai piccoli uomini dell’ora presente, imbevuti di preconcetti regionali e ligi tutti ad interessi privati e di campanile. Gli uomini che hanno governato l’Italia nell’ultimo decennio erano da una parte troppo manchevoli di esperienza tecnica per trattare con sufficiente larghezza di criteri un problema la cui soluzione importava la spesa di miliardi di lire ed erano dall’altra troppo sforniti di onestà politica per poter considerare una si grave questione abbastanza obiettivamente e dal solo punto di vista dell’utilità generale.
Non appena dal Governo della nuova Italia fu imbandita la grossa torta dei lavori ferroviari, gli appetiti si destarono formidabili, le fauci avide si aprirono, gli artigli si protesero nella brama di acciuffare il più che si potesse della torta succulenta. Ogni deputato pretese di accaparrare al suo collegio il maggior numero possibile di chilometri di strada ferrata e le stazioni ferroviarie divennero guide di fedeltà elettorale e l’importanza e il valore di un uomo politico si misurarono alla stregua dei chilometri di binario che ha saputo assicurare al suo collegio. Criterio volgare e non di rado fallace perché in questa, come in ogni altra manifestazione della lotta parlamentare, l’audacia e la petulanza ordinariamente prevalgono a fronte del vero merito. Allorché un qualche futuro indagatore di cose trapassate scriverà la storia aneddotica delle nostre strade ferrate e ricercherà di ciascuna le origini occulte si vedrà, con meraviglia, come volgari politicanti abbiano potuto manomettere interessi colossali costati al paese somme ingentissime. Il denaro spillato con rapacità crudele dalle tasche del popolo è stato silenziosamente dissipato nelle province per il solo scopo di favorire un errore, di proteggere un inganno, di colmare un vuoto della fiducia elettorale ed è cosa indubbia che in un quarto di secolo nella costruzione delle nostre strade ferrate si è speso più di un miliardo di lire nella serie delle malversazioni.
Ma il prevalere delle ingerenze illecite nella costruzione delle strade ferrate non ha avuto solo la conseguenza del dissipamento di un incalcolabile numero di milioni ma una influenza rovinosa su tutta la nostra terra. I tracciati di molte ferrovie furono deviati dal loro corso naturale e logico, furono preferiti tracciati sopra terreni franosi ad altri su terreni solidissimi furono forate gallerie non necessarie, costruiti viadotti inutili e innalzati terrapieni che la necessità non imponeva. Non di rado furono seguiti percorsi lunghissimi per raggiungere luoghi prossimi. Lungo la linea Roma-Solmona, ancora in costruzione, è stata scavata una galleria di 500 m di lunghezza per evitare che la ferrovia attraversasse un piccolo podere di un grande elettore.
In conclusione, dei 2000 km di ferrovia esistente a tutt’oggi in Italia una buona metà è da ritenersi mal disegnata e mal costruita ed è opinione di molti competenti che la nostra rete ferroviaria sia tra le peggiori che si conoscano e non è cosa temeraria prevedere che in più o meno remoto a venire non poche delle nostre strade ferrate si dovranno rifare ex novo seguendo tracciati più ragionevoli”.
L’accapigliamento politico di questi giorni sulla ferrovia Roma Pescara dopo quasi due secoli è identico, mosso dagli stessi interessi.
La ricostruzione di quegli eventi, dell’Ing. Maurilio Di Giangregorio, non si ferma solo al problema complessivo delle strade ferrate in Italia. Sulla tratta Roma Pescara si sofferma, con dovizia di documenti parlamentari e tecnici, sul travaglio politico della decisione su quale fosse il miglior tracciato che evitasse lunghissime gallerie, viadotti altissimi, pendenze da montagne russe.
Vinsero facile i parlamentari del sulmontino e i notabili di Pescina e Pescasseroli. La Valle Subequana, dove passa la Tiburtina Valeria costruita lì (chissà perché) dai Romani, fu solo sfiorata con la stazione a Goriano Sicoli.
L’errato percorso della strada ferrata Roma-Pescara fu riproposto nell’ancora più assurdo tracciato dell’autostrada A25.
Il tratto Cocullo – Bussi-Popoli fu aperto il 7 agosto 1978 dopo una ventina anni di lavori. Anche in questa faccenda si ricordano le lotte tra il campanile di Pratola Peligna e quello di Sulmona per il posizionamento dello svincolo. Giova ricordare che lo sfregio di aver dovuto cedere il casello autostradale a Pratola Peligna che lo aggiungeva alle due stazioni ferroviarie possedute, mal digerito da Sulmona, aveva rinfocolato la voglia di “vendetta” di qualche libero pensatore della città ovidiana che, in prossimità di una campagna elettorale, aveva proposto di realizzazione una bretella prima della galleria di San Cosimo e sopra la Frazione di Campo di Fano quale risarcimento della lesione subita dal capoluogo del Centro Italia Sulmona.
A rinfocolare le lotte peligne nel dicembre 2015 ci si mette pure il governatore Luciano D’Alfonso che annuncia i lavori per escludere la stazione di Sulmona dai collegamenti tra L’Aquila e Pescara e riattivare e completare una vecchia tratta ferroviaria disegnata prima della Pescara-Roma, quella per intenderci del 1877.
Per tornare alle sorti dell’A5 ci viene incontro Wikipedia che ci informa “Nel 2014 l’azienda che gestisce l’arteria (Autostrada dei Parchi) ha presentato la proposta al ministero dell’economia della variante dell’autostrada per migliorare i tempi di percorrenza che ridurrebbe il tracciato di circa 17 chilometri attraverso la realizzazione di tre tunnel a doppia canna tra le aree di Roviano e del Sirente-Velino con la modifica di una parte del tracciato, escludendo le attuali uscite di Pratola Peligna-Sulmona, Cocullo e Pescina.[4] I progetti di variante sono stati tuttavia bloccati nel 2016 dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti[5], sostituiti da estesi lavori di manutenzione straordinaria del tracciato esistente[6]
Su questo aspetto vale la pena rileggere anche un articolo del giornalista e sociologo Giovanni Pizzocchia del 1/2/2016 su AbruzzoWeb
“Una Holding annuncia l’intenzione di voler realizzare un’opera su un territorio ed immediatamente “echeggiano” gli apocalittici e gli integrati. Ciò è positivo, poiché in un paese democratico la partecipazione ai processi decisionali e, in particolare, l’espressione della propria opinione è un diritto garantito dalla Costituzione.
Ci riferiamo ai corposi interventi sull’Autostrada dei Parchi, A24 e A25, annunciati e motivati dall’Ad Alfonso Toto, dell’omonimo Gruppo, concessionario dell’infrastruttura, appena un mese fa al quotidiano abruzzese il Centro.
Si prevedono sette nuove gallerie a doppia canna e la riduzione di 30 chilometri dall’attuale collegamento Roma-Pescara. Un investimento di 5,7 miliardi di euro con 10mila posti di lavoro.
Per quanto riguarda il tratto interessante il Centro Abruzzo, territorio a cui si intende fare riferimento, vale ricordare che il nuovo tracciato, previsto dall’Holding abruzzese, non è del tutto originale, in quanto riflette l’originario progetto autostradale previsto inizialmente negli anni sessanta dall’Anas e “tecnicamente corretto.
In effetti la linea con gallerie è retta se colleghiamo Bussi a Cerchio, attraversando la Valle Subequana, ma diventa un semicerchio passando per la Valle Peligna e per la Valle del Sagittario, prima di ricollegarsi alla Marsica con Pescina e a seguire Cerchio”.
Guarda caso lo stesso tracciato, disegnato dagli ingegneri incaricati dal Ministro dei lavori pubblici l’Ing. Carlo Emilio Gadda 150 anni fa per la strada ferrata Roma Pescara inaugurata il 28/07/1888 e costata 67.740.000 lire, ma mai realizzato per favorire il semicerchio, le gallerie, i viadotti e le montagne russe.
Ora assistiamo allo scontro titanico (Abruzzo WEB 14/04/2021) tra la Senatrice pentastellata Gabriella Di Girolamo da Sulmona e il Deputato Luigi D’Eramo da l’Aquila supportati ciascuno dagli schieramenti delle consorterie peligne e marse per la prima, aquilane e teramane per il secondo.
Per adesso sembra vincere la fazione Marsa-Peligna, ma l’ecumenico D’Eramo non demorde quando afferma in un recente articolo “Non può esserci né guerra di campanile né un pericoloso dualismo tra progetti, bisogna utilizzare un doppio binario: da un lato portare avanti senza ritardi il progetto considerato originario, quello di velocizzazione della Roma-Pescara che coinvolge la Marsica e la Valle Peligna; dall’altro lato, però, è impensabile che nell’ambito di una programmazione di questo genere si tengano esclusi territori fondamentali per tutta la regione come L’Aquila e Teramo che peraltro mettono in campo proposte tecnicamente fattibili, a basso impatto ambientale e molto vantaggiose in termini di tempi di percorrenza”.
In questa guerra di posizioni e sfiancamenti, ben più duratura di quella dei cent’anni, a perdere è la ragionevolezza della scienza e della tecnica e, in ogni caso, la Valle Subequana che perderà anche la stazione di Goriano Sicoli per favorire il percorso alternativo a sanatoria degli errori tecnici imposti da “piccoli uomini dell’ora presente, imbevuti di preconcetti regionali e ligi tutti ad interessi privati e di campanile”. Nel lontano 1800.
Avezzano 19 aprile 2021
Sulla scorta di quello che succede in questi giorni suggerirei un reset, affidandosi, umilmente, se non al buon senso e alla lungimiranza dei Consoli e Imperatori romani, alla scienza e alla tecnica.