di Elena D’Andrea
MARSICA – Alle 7:52 del mattino del 13 gennaio 1915 una forte scossa di magnitudo 7 ad una profondità di 15 km colpì la Piana del Fucino e i paesi circostanti, riportando 30.519 vittime e numerosi danni.
Il disastroso evento sismico è classificato come una delle maggiori catastrofi in Italia: la Marsica, piena di centri abitati, venne rasa al suolo.
Fu la città di Avezzano a riportare i maggiori danni, con circa 10.000 vittime e 2.000 feriti, su una popolazione di 13.000 abitanti.
Rimase in piedi una sola abitazione, presente tutt’ora sul suolo avezzanese, in quella che precedentemente era Via della Stazione, poi rinominata Via Garibaldi.
Molti gli intellettuali e gli artisti che nel corso degli anni hanno parlato del terremoto del 1915 nelle loro opere, tra cui ricordiamo uno dei più grandi attori italiani, Gigi Proietti, scomparso a novembre del 2020.
L’attore romano fu protagonista, nel 1975, de “Er terremoto d’Avezzano” diretto da Antonello Falqui.
L’opera parla della storia di un uomo che, sceso dal treno, si ritrova davanti una scena raccapricciante: la sua città rasa al suolo dal terremoto. Corre verso la sua casa, nella speranza di ritrovare la sua famiglia, ma sua moglie e suo figlio vengono trovati morti sotto le macerie, lui si ammala di una “malattia che gli aveva sconvolto la ragione“ e, successivamente, quando guarisce, racconta di quanto fosse innamorato della sua ormai defunta moglie e ricorda tra lacrime e dolore l’ultimo saluto del suo amato figlio.
Anche Celano, duramente colpita, ricorda la storia di Mariannina, giovane ragazza con il sogno di sposarsi che purtroppo non verrà mai realizzato. Mariannina quella notte non riuscì a dormire, pensava al suo amato Nino e a come, di lì a poco, lo avrebbe sposato. Sognava di diventare madre, di avere una famiglia e di essere amata. Anche Nino, quella notte, non pensò ad altro che a lei, la sua sposa e madre dei suoi futuri figli. La pensava nello splendido abito bianco che avrebbe indossato per lui, sorridente, con accanto le persone più care. Si lasciarono con la promessa di rivedersi il giorno seguente per i preparativi del loro matrimonio, atteso da tutta la popolazione celanese. Mariannina si alzò per guardare le deboli luci dell’alba, poi tornò a letto a sognare mentre scrutava il soffitto della sua camera. Di colpo avvertì un boato e tutto iniziò a tremare: la vita della giovane promessa sposa venne spezzata per sempre da una forza incontrollabile che nessun essere umano potrà mai sconfiggere.
Quel mattino, Nino, si precipitò a casa di Mariannina, ormai ridotta in macerie, nel disperato tentativo di ritrovarla ancora viva, ma ciò che dopo qualche ora vide era la sua amata avvolta da un lenzuolo e sepolta dalle macerie. Venne successivamente vestita del suo abito da sposa e poi portata in cimitero, dove, nel silenzio, si scorse il suono melodioso del violino: Nino stava suonando una malinconica serenata per la sua povera Mariannina e per anni, ogni sera, lui era lì con lei e le ripeteva “Buonanotte Mariannina, a domani”.
Nino, costretto e forzato dal destino che il terremoto gli aveva riservato, si allontanò da Celano, ma non prima di aver fatto un ultimo dono alla sua donna. Fece scolpire una statua che ritraeva Mariannina avvolta nel lenzuolo, con un braccio alzato nell’ultimo disperato gesto di salvezza.
La statua (foto di copertina) è esposta in un angolo del cimitero di Celano e, ancora oggi, rilascia malinconia e suggestione, trasportando un vento freddo, come in quella tremenda notte.