Ultimamente si parla tanto di inclusione dei sordi e si evidenzia l’impegno di alcune associazioni, una in particolare, di accomunare questa parola alla Lis, come se fosse, essa, l’unico strumento indispensabile per l’inclusione dei sordi.
È opportuno evidenziare che il mondo della sordità è un mondo complesso e, per alcuni versi, assurdo. Un mondo diviso tra oralisti e segnanti; i primi sono coloro che considerano la sordità come una disabilità e come tale l’affrontano, usando tutti i mezzi che la scienza e la tecnologia mette a disposizione; i secondi, invece, sono coloro che considerano la sordità come una caratteristica e per tale motivo si sentono parte di una comunità diversa e distaccata da quella italiana, una comunità che ha una lingua a parte, ossia la Lis e non l’italiano. Ecco il loro impegno nel farla riconoscere come lingua ufficiale di tutti i sordi. E qui c’è certamente l’errore perché la Lis non è la lingua di tutti i sordi, ma di alcuni, pochi, molti, ma non certo di tutti. Gli aggettivi sono importanti.
Fermo restando che viviamo in democrazia e che ognuno sceglie per sé stesso e per il proprio figlio, senza costrizioni, e sceglie, pertanto, il percorso di riabilitazione più consono alla propria idea e modo di affrontare la disabilità, bisogna assolutamente fare una corretta informazione, non solo per rompere questo stereotipo che sordi sia uguale a muto o Lis, ma anche per permettere a chi si approccia per la prima volta in questo mondo, di scegliere senza costrizioni costruite a tavolino.
L’Associazione Nazionale Sordi APS (ANS) ha come obiettivo il dovere di informare e formare, quello di sostenere e di consigliare tutti coloro che richiedono assistenza.
È innegabile e tangibile il contributo inestimabile che la ricerca scientifica mette a disposizione per affrontare questa disabilità. Importante, in primis, è la diagnosi precoce, infatti il neonato, tra i vari esami a cui è sottoposto appena viene al mondo, compare anche l’esame per valutare il suo udito.
Naturalmente è importante che tutti gli ospedali, dove c’è un punto nascita, siano preposti a fare ciò, e su questo bisognerebbe essere intransigenti perché una diagnosi precoce, lo screening neonatale uditivo, ad esempio, comporta una maggiore autonomia da adulti.
Altro punto fondamentale è che in ogni parte del paese italiano, da nord a sud, comprese le isole, ci sia uniformità a livello di centri di riabilitazione. È importante che ci siano logopediste preparate e specializzate sulla sordità, non qualunque logopedista o neuropsichiatra, che funzioni tutta l’équipe che prende in carico il bimbo sordo e la sua famiglia. Poi gli ospedali dove si effettuano interventi di impianto cocleare e dove ci sono centri per la protesizzazione, non sempre sono presenti nella regione dove risiede una determinata famiglia. E questo, conseguentemente, comporta un’estenuante fatica, fatta di chilometri inimmaginabili da affrontare periodicamente, per avere assistenza.
La diagnosi precoce, come la protesizzazione o l’inserimento dell’impianto cocleare, insieme alla logopedia, non dovrebbero mai mancare, poiché questo sistema permette la piena autonomia della persona sorda, con risparmio nelle casse dello Stato perché, dopo il periodo indispensabile per la riabilitazione, la persona sorda comunica autonomamente esprimendosi in italiano che, fino a prova contraria, è la lingua ufficiale in Italia, e riesce a sfruttare la protesizzazione per “sentire”, avvalendosi in caso di bisogno del labiale. Altro che assistenza a vita!
Certo, è importante anche la scuola e il ruolo dell’insegnate di sostegno, figura alcune volte presente nelle scuole, che dovrebbe avere una preparazione adeguata sulla sordità.
Può essere giusto investire soldi per la Lis, ma, per par condicio, è essenziale fare investimenti in tutti questi ambiti per l’indipendenza della persona sorda.
Oltretutto c’è da sottolineare che spetta al genitore di provvedere al benessere del bambino, non al bambino stesso che, per legge, essendo piccolo e non in pieno delle sue facoltà, non è in grado di provvedere e di decidere per sé stesso. Decidere se è più giusto essere parte integrante di una società o essere catalogato come diverso in base ad una “caratteristica”; la sordità è una disabilità, non una “caratteristica”, questo è il nocciolo della questione! Quindi, quando si afferma del diritto del bambino sordo di essere riabilitato con l’acquisizione della lingua italiana dei segni, si afferma qualcosa di sbagliato per le motivazioni poc’anzi descritte. Chi lo decide cosa è giusto per il bambino? Chi decide che un bambino, nato sordo o diventatoci nella primissima infanzia, faccia parte di una comunità in base ad un difetto di udito? Chi per lui? I genitori sono autorizzati dalla legge a provvedere al bene del bambino e, per questo è importante fare corretta informazione.
Ecco perché l’Associazione Nazionale Sordi APS (ANS) in stretta collaborazione con il comitato scientifico, vuole contrastare questo tsunami, proponendo una visione diversa sull’inclusione della persona sorda. Visione non convogliata solo alla convinzione dell’esigenza del bambino sordo di imparare necessariamente la Lis, come se fosse indispensabile per il suo sviluppo relazionale/affettivo, cognitivo/linguistico, ma convogliata ad una visione della sordità a 360 gradi.
Portando come esempio fatti, non parole. Ragazzi, bambini, adulti, che pur non conoscendo la Lis, sono inseriti a tutto tondo nella società italiana, senza nessuna difficoltà linguistica/cognitiva e relazionale/affettiva.
Investiamo su tutto ciò ed anche sulla sottotitolazione che rappresenta un ulteriore mezzo indispensabile verso l’indipendenza.
La par condicio è la parità di condizioni, parità di possibilità di accesso ai mezzi di riabilitazione più consoni ed inclusivi per tutti i sordi, non per pochi.
L’Associazione Nazionale Sordi APS (ANS) sempre al servizio dei più bisognosi!