Il Gran Sasso, punto centrale nella geografia dell’immaginario della regione, si trova al confine tra le province di L’Aquila, Teramo e Pescara. Gigante buono, vicino cattivo, la sua presenza ha da sempre condizionato queste terre, forgiandone il carattere dei suoi abitanti come nessun altro elemento naturale.
“Eccoci qua. Siamo giunti all’ultima puntata del viaggio a Quota Mille, e non potevamo che chiudere nel posto più alto della nostra regione: sua Maestà il Gran Sasso d’Italia!” – esordisce lo scrittore Peppe Millanta giunto sul Gran Sasso con le telecamere Rai di Sem Cipriani per l’ultima puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.
Con i suoi 2912 metri d’altezza è il massiccio più alto degli appennini. Gli antichi romani lo chiamavano Monte Ombelico, per la sua posizione proprio al centro della penisola italiana. L’attuale denominazione di Gran Sasso risalirebbe invece al Rinascimento, anche se nei paesi intorno viene ancora utilizzato il nome medievale di Monte Corno.
“Il suo profilo – spiega Millanta – ha da sempre affascinato gli abruzzesi, soprattutto al tramonto, lasciando nascere numerose leggende: le sommità delle montagne sono infatti da sempre associate al divino, per la loro vicinanza con il cielo e le stelle. Già, ma quanto è alta questa montagna che sembra non finire mai? La domanda rimase senza risposta per secoli, fino a quando alla fine del ‘700, un giovane di Teramo decise di arrischiarsi per tentare l’impresa: il suo nome era Orazio Delfico”.
Delfico partì insieme a pochi altri uomini, armato di un barometro. Nel suo resoconto definisce la montagna “opera di Giganti”, e racconta di come il suo sguardo, arrivato in cima, non avesse mai visto prima tutto quello spazio libero davanti a sé.
Sbagliò la misurazione di pochissimi metri, cosa incredibile a pensare alla strumentazione dell’epoca, e a lungo la sua fu considerata la prima ascensione sul Gran Sasso. Agli inizi del ‘900 però, spuntò fuori la cronaca dell’esploratore Francesco De Marchi, che riportava una data incredibile: il 19 agosto del 1573.
“La vita del De Marchi – prosegue Millanta – fu piena di avventure strabilianti. Primo a immergersi nel lago di Nemi con un scafandro per cercare le navi di Caligola, inseguito dai corsari a Ponza, naufrago alla foce del Tevere, testimone di una eruzione del Vesuvio. Conobbe l’Abruzzo perché al seguito della corte di Margherita d’Austria. E lì, non appena vide la montagna, lanciò la sua personalissima sfida.
Partì da Assergi, e ci racconta le difficoltà incontrate nella salita. Spesso si ritrova infatti in vene di roccia dove è impossibile continuare “se non con l’ali”, come ci dice lui. E allora inizia a scalare con le mani e con i piedi su questa pietra pericolosa, tanto da definire l’ascensione “cosa horrenda d’andarvi”. Ma alla fine, dopo più di 5 ore, riuscì a raggiungere la vetta. E lì, il De Marchi, si lascia andare”.
“Quand’io fui sopra la sommità, mirando all’intorno, pareva che io fussi in aria, perché tutti gli altissimi monti che vi sono appresso erano molto più bassi di questo”: a quel punto il De Marchi prese un corno e iniziò a suonare per la gioia, e racconta che dal monte vide uscire tantissimi uccelli, come stupiti nel vedere degli esseri umani arrivati fin lassù. Nel suo resoconto lo definì “il più alto e il più horrido di tutti i monti d’Italia”.
C’è però una notazione da fare: ad accompagnarlo c’era tal Francesco Di Domenico. Professione: cacciatore di camosci. Scelto perché in vetta c’era già stato in precedenza, divenendo di fatto lui il primo conquistatore del Gran Sasso documentato.
“Quota Mille finisce qui, ma non finiscono le storie che potete scoprire a queste altezze. Buon proseguimento del viaggio quindi in questo arcipelago di altitudini che aspetta solo voi, per essere esplorato” – conclude Peppe Millanta.
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