“La proposta avanzata da un noto virologo e appoggiata in pieno da alcuni “illustri” esponenti della comunità scientifica nazionale, in merito alla necessità di ridurre la diffusione dei dati sui contagi, passando da una divulgazione quotidiana ad una settimanale, allo scopo, sosterrebbero gli esperti, di non generare ansia e panico nella popolazione, non ci piace!
Anzi, a dirla tutta, un po’ anche ci indigna, ci fa arrabbiare, dal momento che le stesse associazioni scientifiche, ma anche sindacati delle professioni sanitarie come il nostro fanno, da una vita, della corretta informazione, delle inchieste, della ricerca della verità partendo partendo da evidenze come queste, uno dei “cardini fondamentali del proprio lavoro di sostegno alla cittadinanza”.
“E, al di sopra di questo, vale pena il caso di precisare che i dati quotidiani sulla diffusione del Covid“, dice Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, “rappresentano a nostro avviso un bene comune, che deve continuare ad essere messo a disposizione della collettività.
L’informazione puntuale e corretta, così come abbiamo fatto e continueremo a fare noi, ad esempio riguardo ai numeri dei contagi degli operatori sanitari, o scavando nel sommerso delle vergognose storie delle aggressioni nelle corsie, non crea affatto panico nelle persone, ma solo piena consapevolezza del momento che stiamo vivendo.
L’informazione, in un frangente del genere, serve a “tenere alto il livello di guardia”, a non sottovalutare le nuove mosse del nemico e anzi, favorisce la condivisione ed aiuta la collettività a concentrarsi sempre di più verso il rispetto delle regole e delle misure di prevenzione da adottare”.
“Stiamo parlando”, continua De Palma, “del fondamentale diritto alla conoscenza che rappresenta un caposaldo di ogni Paese Civile. In tutta Europa, da quello che ne sappiamo, si adotta il criterio della diffusione quotidiana dei dati.
Allora perché solo l’Italia dovrebbe cominciare ad agire diversamente?
Qualcuno cita impropriamente l’America, e addirittura la propone come riferimento. Stiamo parlando di un paese che certo non può dare esempi in termini di strategie di contrasto contro Covid 19.
Insomma, per una volta sola, bisognerebbe mettere da parte l’esercizio di stile, e riconoscere che nessuno, tra gli altri paesi ed in riferimento alla pandemia , dovrebbe poter dare esempi all’Italia.
No signori, non ci stiamo.
Non è certo evitando di comunicare i dati che si aiuta la collettività sociale in questo momento, non è mettendo la testa sotto la sabbia, che si risolvono i problemi di una emergenza sanitaria che ci affligge e che continuerà a tormentarci, rispetto alla quale sono ben altri i problemi di cui tenere conto ogni giorno.
Due anni di pandemia in fondo cosa ci hanno insegnato?
Istituzionalizzare proposte singolari, come quella di ridurre la frequenza della diffusione dei dati Covid diretti alla cittadinanza, dimostrerebbe che siamo giunti all’ acme dell’incongruenza, con il rischio di nascondere, talvolta, un problema per qualche giorno in più, adottando in tal modo una soluzione che alla fine si rivela peggiore del problema stesso, con le conseguenze di un effetto boomerang.
Volendo usare una ragionevole analogia, al malato non è necessario nascondere la verità sulla sua malattia, solo per tranquillizzarlo. Non è necessario chiedere ai sanitari di omettere di parlargli, giorno per giorno, dello stato di evoluzione dei sintomi, per farlo invece, solo una volta a settimana. A cosa dovrebbe servire agire in questo modo se, al contrario, una informazione giornaliera, puntuale e corretta al paziente potrebbe consentire, invece, al buon medico di riconoscere “prima”, addirittura, un sintomo allarmante che dovesse presentarsi e, conseguentemente, di intervenire prontamente per risolvere il problema.
Certo, il cittadino non va allarmato in modo inutile e in lui non vanno generati stress e panico, ma ha bisogno di assumere la consapevolezza della patologia che lo affligge, per poter lottare ogni giorno, con chi lo sostiene, verso la guarigione”.
“Insomma”, insiste ancora De Palma, “non si può pensare che il problema sia l’eccessiva diffusione dei dati sui contagi. Tutto questo rischia di suonare come strumentalizzante.
I cittadini non hanno l’anello al naso, e non possono certo essere privati di una informazione quotidiana che rappresenta alla fine uno strumento necessario, e funzionale alle attività umane di riflessione e consapevolezza tipiche dei cervelli pensanti.
Noi tutti, come cittadini abbiamo il diritto di conoscere i dati con puntualità, frequenza e precisione, ed ascoltare quindi pareri tra loro contrari ed opposti: tutto questo serve ad una società civile per costruire una coscienza critica, e lo strumento per arrivare ad essa è di certo l’informazione corretta. I dati sui contagi devono essere, come si è fatto fin ora, diffusi quotidianamente!”
“E’ evidente”, conclude De Palma, “che l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, e che sembra non voglia saperne di abbandonarci tempestivamente, è una questione che riguarda la pubblica incolumità e come tale esige una informazione puntuale e precisa”.