CELANO – È stata notificata la conclusione delle indagini dell’inchiesta denominata “Acqua fresca”, a firma dei Pm Andrea Padalino e Lara Secaccini del Tribunale di Avezzano.
L’inchiesta era partita nel gennaio 2018 dai militari del Nucleo Investigativo di L’Aquila che attribuivano agli esponenti dell’amministrazione comunale di Celano diverse condotte antigiuridiche, finalizzate all’indebita percezione ed erogazione di fondi comunali a liberi professionisti e imprenditori operanti nella Marsica.
Era datata 6 febbraio 2020 l’ordinanza emessa dal Gip dott.ssa Maria Proia, del Tribunale di Avezzano, con cui venivano disposte le misure della custodia cautelare in carcere nei confronti di Filippo Piccone; degli arresti domiciliari per Settimio Santilli ed altri indagati tra liberi professionisti e dipendenti comunali; le misure cautelari personali interdittive della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio e del divieto temporaneo di esercitare una determinata attività professionale nei confronti di altri liberi professionisti e dipendenti comunali; e la misura cautelare personale coercitiva dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per ulteriori due indagati.
Le citate misure cautelari personali venivano eseguite in data 22 febbraio 2021 e, quindi, a distanza di più di un anno dalla presunta consumazione dei reati contestati nel capo di imputazione. Le esigenze cautelari indicate nell’ordinanza citata che, a quanto si legge dal testo della stessa, giustificavano l’applicazione delle misure de quibus, erano il pericolo di reiterazione di reati e di inquinamento probatorio da parte dei 56 indagati.
L’ordinanza veniva impugnata per il tramite dei rispettivi difensori da parte del Sindaco Settimio Santilli (agli arresti domiciliari) e del vice sindaco Filippo Piccone (in stato di custodia cautelare presso la casa circondariale di Vasto), prima innanzi al Tribunale Penale di L’Aquila, Sezione del Riesame, che disponeva l’immediata sostituzione delle misure cautelari in essere con quelle del divieto di dimora nel Comune di Celano; quindi innanzi alla Suprema Corte di Cassazione che, in data 2 luglio 2021, in accoglimento del ricorso presentato dai difensori di Santilli e Piccone, annullava senza rinvio l’ordinanza impugnata motivando come segue.
“Le misure non potevano essere applicate per evidenti e gravi carenze nelle ordinanze del Gip e del Tribunale del Riesame”: le ipotesi di reato mancano di concretezza (sono state fornite argomentazioni generiche) e manca l’attualità (i fatti sarebbero accaduti tra il 2017 e il 2018). La Corte di Cassazione aveva, altresì, censurato i capi di imputazione in capo al sindaco per falsità ideologica, turbativa d’asta e turbata libertà della procedura, in quanto lo stesso si era attivato, attraverso atti di autotutela, per annullare alcune gare pubbliche. Dalle intercettazioni in atti non è emerso, tuttavia, quale sia stato il ruolo del Santilli. Relativamente a Piccone, quindi, il Tribunale del Riesame, La Corte di Cassazione e addirittura lo stesso Procuratore Generale della Corte di Cassazione hanno evidenziato l’assenza assoluta di prova per il reato di induzione indebita.
L’ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale Penale di Roma veniva impugnata anche dalla dott.ssa Daniela Di Censo: prima innanzi al Tribunale del Riesame, che sostituiva l’originaria misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’interdizione dai pubblici uffici; quindi, davanti alla Suprema Corte di Cassazione che, in accoglimento del ricorso presentato dal difensore dell’indagata, annullava senza rinvio l’ordinanza impugnata motivando: “Questa Corte di legittimità ha da tempo affermato il principio secondo cui la correlativa esigenza cautelare deve essere non solo concreta – fondata, cioè, su elementi reali e non ipotetici – ma deve altresì rivestire il connotato della attualità, nel senso che deve potersi formulare una motivata prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita”.
Ed ancora, “l’ordinanza impugnata non indica fatti e comportamenti concreti, recenti e specifici, indicativi di tale perpetuarsi del “sistema Celano”, né specifica quali conversazioni oggetto di attività captativa siano dimostrative di tale continuità di intenti, se non di azione, e quale ne sia, pur in sintesi, il contenuto, non offrendo dunque elementi dai quali sia dato desumere le ragioni dell’attualità del periculum libertatis.
Tuttavia, a tal proposito, l’ordinanza impugnata non individua concreti comportamenti atti a suffragare l’assunto che la stessa abbia agito in tale contesto – come pure è detto -, al fine di favorire i propri familiari, posto che nessun addebito specifico, nell’ambito della pur ponderosa indagine sfociata nella ordinanza genetica, risulta essere stato elevato a tal proposito nei suoi confronti”. Anche i ricorsi presentati da altri coindagati venivano accolti; in alcune ipotesi il Tribunale del Riesame, entrando nel merito, riteneva molti dei reati contestati nel capo d’imputazione ad alcuni indagati come non sussistenti; in altri casi le misure interdittive venivano, in alcuni casi impugnate da parte dei professionisti ed in altri casi revocate dalla stessa Autorità Giudiziaria che le aveva disposte.
In altre ipotesi ancora, i ricorsi innanzi alla Suprema Corte di Cassazione presentati dallo stesso P.M. che aveva richiesto l’applicazione delle misure cautelari e successivamente impugnato le decisioni favorevoli emesse nei confronti di alcuni coindagati, da parte del Tribunale delle Libertà di L’Aquila, venivano dichiarati inammissibili. Oggi, molti degli indagati coinvolti nell’indagine di cui in premessa (non più 56 ma 33), sospesi all’epoca dei fatti, sono stati reintegrati al lavoro.
Di fronte ad un quadro accusatorio notevolmente indebolito dalle pronunce prima del Riesame e poi della Cassazione, la Procura della Repubblica, presso il Tribunale di Avezzano, però, disattendendo completamente le decisioni di cui già si è scritto, nel notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ha ritenuto di non modificare i capi d’imputazione originariamente contestati, non considerando le pronunce rese dai Giudici delle Impugnazioni e così finendo per rendere privi di efficacia proprio quegli strumenti giudiziari che tutti gli indagati hanno a disposizione da codice a loro tutela per contestare le accuse da loro ritenute non fondate.