AVEZZANO – Il 9 marzo 2020, alle 21.30, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte proclamava zona rossa in tutta Italia, con il noto provvedimento passato per “iorestoacasa”. Due mesi di completo lockdown, nella prima ondata di un virus, il covid19 che ha completamente cambiato le nostre vite. Un anno dopo, la situazione non è poi così diversa. Il nuovo premier Mario Draghi, l’8 marzo 2021, annuncia che la pandemia non è finita e con voce, tutt’altro che rassicurante, annuncia che l’Italia deve avere fiducia. Se di questo periodo l’anno scorso mancavano le mascherine, a ottobre i reagenti dei tamponi, oggi mancano le dosi del vaccino.
VARIANTI. Nella puntata di #Marsicast di ieri sera, con ospite il dottor Paolo Fazii, si è parlato delle protagoniste di questa terza ondata in Italia: le varianti del covid, in particolare quella inglese che secondo il direttore di Microbiologia e Malattie Infettive dell’ospedale di Pescara: “possono contagiare anche chi in precedenza era stato affetto dal virus originario di Wuhan. Sicuramente, è difficile che in questi casi si raggiunga lo stato più virulento della malattia”.
VACCINO. “Non è un virus da laboratorio”, continua a ripetere Fazii, “il vaccino sarà l’unica chiave per arrivare all’uscita, ma ci vorrà del tempo. Innanzitutto, aspetteremo il caldo, verso metà maggio che farà si che il virus si propaghi più lentamente, augurandoci nel frattempo che le dosi di vaccino arrivino in maggiori quantità. A settembre forse sarà pronto il vaccino dello Spallanzani, intanto bisogna valutare anche lo Sputnik russo”.
TERAPIA. “La medicina ha fatto molti passi in avanti nella cura del Covid: dopo i vari tentativi dello scorso anno di fronte a un virus sconosciuto, la scienza è arrivata a trovare terapie valide contro il covid19. Antibiotici come l’azitromacina, corticosteroridi sin dai primi sintomi della malattia, fino alle punture di eparina nei casi di desaturazione”. Ad oggi, la medicina del territorio, tanto mancata nella prima parte della pandemia, è la soluzione necessaria. Nel nord, dove hanno ospedali anche migliori dei nostri, hanno abituato troppo l’utenza a recarsi nei presidi ospedalieri, per questo hanno avuto molte crisi nella gestione dell’emergenza. Dobbiamo recuperare assolutamente questa modalità di cura.