In questo importante “anniversario”, che dedica spazio e memoria ai professionisti sanitari, specie a coloro che hanno perso la vita a causa del Covid, il segretario Mimma Sternativo tiene a scrivere questa lettera aperta/dichiarazione:
«Il 20 febbraio è la “Giornata nazionale dei professionisti sanitari, sociosanitari, socioassistenziali e del volontariato”. Un giorno per ricordare chi ha dato tutto nella guerra al Covid, anche la vita. Ed è il giorno in cui dirlo ad alta voce che siamo fieri di voi, di noi. Di chi di fronte alle corsie zeppe di paura e morte e dolore, quando non si sapeva che implicazioni potesse avere il virus per il personale sanitario, quando non avevamo i mezzi di protezione adeguati, fin quando non ne avevamo nessuno, siamo rimasti lì. In piedi di fronte alla valanga. A fare da argine a un virus che ha ucciso davvero troppe persone, troppi italiani. Troppi di noi, medici, infermieri, operatori sanitari. Ci siamo ammalati, abbiamo lottato e siamo tornati al nostro posto. Abbiamo pianto amici e parenti senza poter dire loro addio, e siamo rimati al nostro posto. A curare le persone, anche quelle che non hanno rispettato le regole, anche quelle che ci hanno chiamati eroi per un po’ e poi si sono scordati di noi. Col cuore caldo per quei cittadini, tanti, che ci hanno fatto arrivare doni, gratitudine, gelati, affetto.
Oggi stiamo combattendo un’altra battaglia, ancora invisibile: il burnout che sembra però non interessare le istituzioni politiche come pure i datori di lavoro. Professionisti non macchine, che come soldati al rientro da una guerra, rischiano di vivere un disturbo post traumatico che influisce notevolmente sulle loro vite. Al di là di riconoscimenti economici o sociali, che comunque sono stati niente se paragonati allo sforzo fatto, è ora importante prendere in carico il loro malessere psicofisico. Se le amministrazioni non faranno qualcosa per la prevenzione ma anche per la cura di questo stato, c’è il rischio documentato scientificamente che aumenti il tasso di assenteismo e di turnover, che vi sia un calo della performance, della qualità del servizio e della soddisfazione lavorativa.
Il Covid ha toccato troppi nervi scoperti, l’assenza di tutele e stipendi adeguati, gli “irrisolti” dovuti a troppi tagli alla sanità, il fatto che siamo pochi. Perché con 54mila infermieri in più sì che sarebbe andato tutto bene, o sicuramente sarebbe andato meglio. Ha anche mostrato chi siamo, quanto siamo importanti, spesso soli. Quanta professionalità e passione mettiamo in campo.
Quindi questo 20 febbraio lo celebriamo, per chi non c’è più e per voi che siete lì. Al vostro posto, in corsia, negli ambulatori, sulle ambulanze, sul territorio. Lo celebriamo per chi per mesi non ha abbracciato i suoi figli, i nipoti, i genitori. Per chi ancora non lo fa. Lo celebriamo per noi cui non è stato concesso il lusso di poter aver paura. Ma, c’è un ma che è una promessa: a voi, a noi, a chi è caduto in servizio facciamo una promessa: non permetteremo che l’aver istituito una “giornata nazionale” sia il modo di far pace con i professionisti della sanità. Non ci bastano le medaglie, le targhe, i servizi al telegiornale una settimana l’anno. Alla politica e alle dirigenze di tutti i livelli non permetteremo di scordare che non siamo né eroi né martiri. Questo è il momento di riscrivere le regole del gioco e ridistribuire i ruoli: siamo professionisti generosi e indispensabili e lotteremo perché le nostre capacità e i nostri meriti vengano riconosciuti. Grazie a tutti per essere stati così all’altezza!»