Roma – Nel 1945, aveva soli 7 anni Teodoro Lorenzin. Aveva perso il padre nel 40 e viveva con la madre a Pola, nel Medolino, punta dell’Istria. Di quegli anni, pur essendo solo un bambino, Teodoro rammenta la paura. Il senso del terrore. Oggi, 10 febbraio 2021, a distanza di molti anni, quei giorni drammatici sono un ricordo vivo che ancora hanno da insegnare quanta atrocità era manifesta nei regimi totalitaristi. Prima le stragi e la violenza del nazismo. Poi l’orrore del comunismo di Tito. Vicino la dimora di Teodoro, c’era la foiba di Pisino. Lì sono stati ritrovati un centinaio di morti.
Quali sono ad oggi le immagini impresse delle stragi delle foibe?
Ricordo chiaramente quando i soldati comunisti venivano di notte. Prendevano la gente, o meglio prendevano solo gli italiani e i filo italiani. Quel periodo, essere italiano significava essere fascista. Coloro che venivano catturati, non avevano nessuna colpa. Non erano fascisti. Non erano partigiani. L’unica pecca era quella di essere italiani. Venivano presi e buttati nelle foibe.
Anche bambini? Sì. Ero a conoscenza di una famiglia che portava il mio stesso cognome. Padre, madre e figlio di 16 anni furono coinvolti e uccisi.
Orrore che avevi vissuto anche con il nazismo? Esattamente. A causa dei bombardamenti che avvenivano a Fola, fummo costretti a nasconderci nel paese più vicino, dove c’erano diversi partigiani. Proprio per questo, ricordo quando, sempre di notte, vennero tedeschi e repubblichini e fecero un rastrellamento del paese per trovare dei partigiani. Presero tutte le donne giovani, le portarono in piazza, per incutere timore e minacciarle, nel caso nascondessero partigiani. Davanti ai loro occhi, bruciarono alcune case. Un’abitazione era proprio quella dei miei vicini. Poi le lasciarono andarle via.
E poi? Dopo la guerra, siamo rimasti a Pola. Quando nel settembre, la zona fu annessa alla Iugoslavia, si poteva scegliere se diventare cittadini slavi e italiani. All’inizio erano tutti istriani. Per chi diventava slavo, cambiava anche il nome italiano che veniva slavizzato nella grafia. Sulla lingua non c’erano problemi, perché parlavamo tutti entrambi le lingue. Quando vennero i titini, frequentavo scuole croate. In ogni caso, se decidevi di rimanere cittadino italiano, dovevi andare via.
Come sei fuggito da lì? A marzo del ’48, abbiamo fatto la domanda per la cittadinanza italiana e abbiamo avuto un mese di tempo per andare via. Dopo la morte di mio padre, mia madre si era risposata con un toscano. Sono stato fortunato, perché ho avuto la fortuna di andare a casa del mio patrigno.
Per gli altri invece? La maggioranza delle persone nell’estate del 47 fuggì da Pola verso un campo profughi e rimase lì per anni. Era un clima troppo difficile per gli italiani per vivere.