ABRUZZO – Il 54% degli operatori sanitari in prima linea per l’emergenza Coronavirus riporta la necessità di ricevere supporto psicologico. E’ quanto emerge dall’indagine sull’impatto del Covid-19 sulla salute degli operatori sanitari condotta dalla Cattedra di Psicologia Clinica dell’Università G. d’Annunzio di Chieti durante il lockdown di primavera.
Sono numeri che raccontano il “dietro le quinte” della lotta al Covid 19, quelli che la Cattedra di Psicologia Clinica dell’Università d’Annunzio ha raccolto ed elaborato in uno studio condotto durante la prima ondata di emergenza sanitaria. Numeri che sono un tassello importante nel quadro di responsabilità sociale che ogni cittadino è chiamato ad assumersi nel contrasto al contagio.
La pandemia di Coronavirus ha avuto un impatto significativo sulla salute psicologica, oltre che professionale, degli operatori sanitari impegnati in prima linea per contrastare la diffusione del virus nel corso della prima fase epidemica nella scorsa primavera.
Il 58% ha denunciato sintomi di depressione, il 57% di ansia, il 56% sintomi post-traumatici e il 35% ha affermato di sentire compromessa la propria efficacia lavorativa. Il 61% degli operatori ha subito almeno una perdita tra pazienti, familiari e colleghi.
Il 6% è stato contagiato ma ben il 50% non ne è a conoscenza per via della bassa accessibilità alle profilassi diagnostiche. Tra questi sono aumentati sintomi di ansia e di perdita di interesse per il proprio lavoro.
Tra gli operatori più a rischio di presentare disagio psicologico ci sono gli infermieri e gli OSS, le donne, gli operatori più giovani e quelli che lavorano nelle zone maggiormente colpite dall’emergenza (centro – nord della penisola).
I dati relativi alla regione Abruzzo sono particolarmente incisivi. 237 operatori sono stati coinvolti nell’indagine: infermieri: 45.6%; medici: 35.4%; operatori socio-sanitari: 8%; tecnici: 10.9%. Tra loro il 45.1% ha subito almeno un decesso tra pazienti, familiari o conoscenti.
Il 25.3% di tutti gli operatori sanitari abruzzesi ha sentito necessità di supporto psicologico.
Restringendo il campione agli operatori in prima linea (184) sale al 52,2% il numero ha subito almeno un decesso tra pazienti, familiari o conoscenti.
Il 27,2% di tutti gli operatori sanitari abruzzesi ha sentito necessità di supporto psicologico.
Il 19.6% per sintomi depressivi; il 28.3% per sintomi di ansia; il 51.1% per sintomi post-traumatici; e il 23.9% sintomi di burnout.
Questa è la situazione fotografata dai risultati dell’indagine sull’impatto dell’emergenza Covid-19 sulla salute psicologica degli operatori sanitari condotta dalla Cattedra di Psicologia Clinica dell’Università G. d’Annunzio di Chieti durante il mese di aprile 2020.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista statunitense PloS One ed ha coinvolto circa 1120 professionisti della sanità italiana, di cui la maggior parte donne (circa il 77%). Si tratta di infermieri (41%), medici (22%), OSS (20%), tecnici e operatori (17%) impegnati sia nelle prime linee ospedaliere e della medicina di base che nelle retrovie dei laboratori e dell’assistenza.
Il 54% degli operatori in prima linea ha dichiarato il bisogno di ricevere supporto psicologico, ma di questi, la metà non ha avuto la possibilità di accedere ad alcun servizio. I dati segnalano l’urgenza di interventi di supporto psicologico finalizzati a sostenere gli operatori che quotidianamente si confrontano con l’emergenza e a ridurne il carico emotivo e il burn-out.
Un’esigenza che questi mesi di seconda ondata stanno decisamente rafforzando.
“L’obiettivo della nostra indagine è stato quello di mettere in evidenza la necessità di tutelare il benessere di chi si occupa della nostra salute. Siamo tutti in debito verso coloro che affrontano l’emergenza Covid-19 con rinnovata dedizione, coraggio e forza di volontà anche in questa seconda ondata. Soldati in prima linea: medici, infermieri, tecnici, professionisti vari della sanità, quasi sempre anonimi perché impegnati nel duro lavoro sul campo dove i momenti di gloria sono pochi e il prezzo da pagare è alto, come evidenzia la nostra indagine” afferma il prof. Piero Porcelli, Ordinario di Psicologia Clinica dell’Università G. d’Annunzio di Chieti.