ROMA – 2020, annus horribilis: ci lascia un altro grande della nostra storia. Questa mattina alle 5,30, proprio nel giorno del suo compleanno, ha chiuso per l’ultima volta il sipario Gigi Proietti. È morto in una clinica romana dove era ricoverato per gravi problemi cardiaci. Un vero e proprio coup de théâtre morire nel giorno del proprio genetliaco e in una ricorrenza come quella di oggi. L’attore romano aveva sempre ironizzato sulla sua data di nascita: “Che dobbiamo fa’? La data è quella che è, il 2 novembre“, ma mai avremmo pensato che la sua ironia si sarebbe spinta fino a questo punto. Una ironia che ora si fa amara e ci lascia sgomenti davanti a un saluto che è arrivato, forse, troppo repentino, in questa triste mattina di novembre.
Gigi nasce a Roma nel 1940. Durante gli anni di Università scopre la sua vocazione di artista e inizia ad esibirsi cantando e suonando la chitarra in feste locali per pagarsi gli studi, ma la sua attorialità emerge prepotente e si esercita tra il teatro cabaret, il teatro-cantina, lo Stabile di Roma e lo Stabile dell’Aquila, di cui assumerà la direzione tra gli anni 80 e 90 e, poi, nel 2000.
In teatro la grande occasione arriva nel 1970 quando sostituisce Domenico Modugno, accanto a Renato Rascel nel musical “Alleluja brava gente” di Garinei e Giovannini. Da allora è interprete e autore di grandi successi teatrali, tra i quali Caro Petrolini, Cyrano, I sette re di Roma.
Proietti si fa dirigere, ma si mette alla prova come regista e sceneggiatore di se stesso: nel 1976 stringe un sodalizio con lo scrittore Roberto Lerici, insieme al quale scrive e dirige i suoi spettacoli rimasti nella storia, A me gli occhi, please, infatti, è un trionfo. Lo riporta in scena nel 1993, nel 1996 e nel 2000. Amava il teatro, amava la sua professione, ne era sacerdote devoto e fedele, tanto da affermare: “Ringraziamo Iddio, noi attori abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replicano tutte le sere“, giochi, però, che non sono pura attività ludica fine a se stessa, ma momenti di cultura, in cui si veicolano valori e durante i quali, in quella che sembra una realtà illusoria, la realtà acquista una fisicità e una evidenza tali che poi non potrà più essere ignorata. Un gioco, sì, ma un gioco che scava nelle profondità dell’uomo e segna e plasma.
Un artista poliedrico, mostra il suo talento anche nel cinema, soprattutto nel film cult “Febbre da cavallo” di Steno. Presta la sua voce come doppiatore a Gatto Silvestro, per la Warner Bros, a Robert De Niro, Sylvester Stallone – come non ricordare Rocky che grida “Adrianaaaaaaaaaaaaaaaaaaa” nella scena finale del primo film dedicato al grande pugile-, Richard Burton, Dustin Hoffman, Marlon Brando e a Ian McKellen nella trilogia di Lo Hobbit.
Anche nella televisione Proietti lascia il segno: un esempio per tutti la fortunata serie TV “Il Maresciallo Rocca”.
La sua vena creativa non poteva lasciare indietro la letteratura e ci lascia due scritti: un’autobiografia, “Tutto sommato qualcosa mi ricordo”, e una raccolta di racconti intitolata “Decamerino. Novelle dietro le quinte”, una piccola collezione di aneddoti nati nei camerini e dietro le quinte dei suoi spettacoli.
La notizia della sua scomparsa ci lascia increduli, addolorati, storditi e forse ci aspettiamo tutti che esca da dietro le quinte con quel suo sorriso ammiccante e sornione e ci dica: “Ve l’ho fatta”. Ma il palco, purtroppo, resterà vuoto e avremo meno voglia di ridere, eppure, se non vogliamo vanificare la sua arte, dovremo sforzarci di sorridere per rendere un vero omaggio a lui che ha fatto della risata la sua vocazione: “Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ride, mi insospettisce“.
Ciao Gigi, oggi anche le Muse piangeranno con noi per aver perso uno dei loro figli migliori.