AVEZZANO – …poi si incontra, in un momento in cui una chiacchierata è un vero toccasana, un amico di teatro, colui con il quale puoi condividere l’amore per il palcoscenico.
Ciao Antonio Pellegrini!
“Ciao Luisa! Posso offrirti un caffè?”
Così inizia questa piacevole conversazione davanti ad una fumante tazzina.
Hai letto l’ultimo DPCM del governo? Ancora buio per lo spettacolo, che ne pensi?
“Cara Luisa, chiudere i teatri adesso significa spezzare un equilibrio che avevamo raggiunto in questi mesi e di cui si parla a livello nazionale, non posso che confermare quello che si dice in giro: i teatri si erano allineati più di un’altra realtà alle esigenze sanitarie. Noi di “Teatro Off” abbiamo portato avanti una stagione in piena estate, siamo stati forse uno dei pochi, con tutte le riserve e con tutte le attenzioni possibili e immaginabili. E’ andato tutto molto bene, abbiamo avuto successo e avremmo continuato su quella linea. Quindi mantenendo il massimo controllo sanitario, secondo i protocolli previsti, il teatro sarebbe stato ed è tutt’ora uno dei luoghi più sicuri e controllati”.
Antonio per te cosa rappresenta il teatro, cosa vuol dire essere attore?
“Bella domanda! per me essere attore vuol dire aver trovato la mia dimensione, me stesso. Il bello è che io lo sono sempre stato, dovevo solo scoprirlo. L’ho scoperto in tarda età, lo avessi scoperto a 20 anni forse avrei avuto un altro percorso.”
Scusa, come lo hai capito?
“L’ho scoperto in seguito ad una crisi di identità che ho vissuto e che tanta gente dovrebbe vivere, perché da una crisi di identità si trova la propria identità.”
Cosa hai fatto dopo?
“Ho scoperto di essere un attore e mi sono adeguato ai ritmi allo stile di vita, e ho incominciato a portare in scena la mia vita. Sembra una frase fatta ma è così. Anche i miei studi di sociologia mi hanno aperto la mente, facendomi capire che noi siamo veramente attori della nostra vita, non è un modo di dire, è vero! La sociologia studia il concetto di ruolo.”
Se ben ricordo chi ha dato un interessante quadro di questo concetto è il sociologo Goffman con uno dei suoi lavori ”La vita quotidiana come rappresentazione”
“Esatto. Il suo sembra un libro di educazione alla recitazione. Il sociologo studia il concetto di ruolo e afferma che l’essere umano interpreta più ruoli nella sua vita, come noi facciamo sul palco.”
E’ vero, tu sei un signor dottore laureato…
Mi incuriosisce il fatto che hai detto non è da molto che sei attore, da quando sali sul palcoscenico?
“Io non avevo mai preso in considerazione il teatro fino ai 30 anni. Per me era un luogo noioso dove si rappresenta Shakespeare nella sua massima drammaticità, un luogo da evitare. E’ nato tutto per caso, l’incontro con il regista teatrale Agostino De Angelis che ha fortemente insistito a volermi in scena per la mia voce.”
Che cosa hai provato prima di entrare in scena?
“Stavo morendo, ero completamente in preda all’ansia, non capivo più nulla. Poi ho interpretato, indossando un saio, San Tommaso leggendo alcune sue lettere. Ciò che non dimenticherò mai è l’applauso. Tutto per me, ero solo io in scena. Partecipavo a un convegno sulla Santa Inquisizione. Un applauso che ho portato dentro per tre notti.”
Come hai iniziato la tua partecipazione in una compagnia?
“Ho iniziato con la compagnia amatoriale “Je furne de Zefferine” ed è stata per me una grande esperienza di compagnia, umana da questa è nata la scintilla che mi ha fatto capire che dovevo studiare, che volevo approfondire la tecnica, lo studio dell’ interpretazione. Presso centri di formazione ho scoperto il mondo della recitazione che non è un copione da imparare a memoria, ma è davvero l’infinito e ne sono stato assorbito.”
Ci ritroviamo in un momento di crisi che va ad intaccare ancora di più quello che si è portato avanti, con tenacia, il percorso della cultura del teatro. Tu, insieme con Alessandro Martorelli sei direttore artistico, hai creato il Teatro Off, oggi alla terza stagione, la percepisci come una follia questa avventura?
“Se siamo arrivati alla terza edizione vuol dire che c’è stata una evoluzione, una crescita. Mi chiedi se è stata una follia? il teatro è follia, se non fossimo folli non potremmo fare teatro. Poi ogni tanto la follia si trasforma in concretezza. Con “Teatro Off” abbiamo raggiunto un buon risultato, tanto ancora c’è da fare. Covid permettendo.”
Adesso ti vediamo anche nella veste di insegnante, avendo iniziato questo nuovo percorso con “Officine Teatrali”, in sinergia con Marco Verna, Alessandro Martorelli e Alessandro Scafati, ti ritrovi a dover comunicare a giovani aspiranti il valore, l’importanza e la tecnica teatrale. Cosa vuol dire per te affrontare l’insegnamento di quest’arte?
“Fino ad ora non mi sono mai sentito all’altezza di insegnare, però so come trasmettere una emozione sul palco da interprete. Anche nell’insegnamento c’è un ritorno, c’è la bellezza, l’emozione di trasmettere e tramandare quanto appreso e vissuto. Non voglio precludermi a questa nuova emozione.”
Il teatro di oggi non ha più l’enorme valore culturale e sociale che aveva una volta. Sei d’accordo?
“Non lo so. I tempi sono cambiati, il linguaggio è cambiato, ci vuole un adeguamento. Forse si potrà arrivare ad una nuova formula. Alessandro ed io cerchiamo una formula non solo sul piano interpretativo ma anche comunicativo. E’ una vera ricerca, formule di comunicazioni e di linguaggi nuovi per ritornare ad avere un suo spessore. Certamente non sarà più quello degli anni passati. Ritengo che alcune realtà che siano teatrali, culturali o commerciali vanno contestualizzate nelle nostra era, difficile pensare di riportare ad oggi qualcosa che apparteneva a ieri. Dobbiamo solo trovare nuovi linguaggi, rispetto alla interpretazione classica. Una nuova formula, più smart, più cinematografica non significa rinnegare il passato, perché l’evoluzione parte sempre da una base”.
Antonio è stato davvero piacevole parlare con te di teatro, magari un giorno ci incontriamo sul palcoscenico.
“Mai dire mai. Grazie Luisa!”