di Armando Floris
AVEZZANO – Il momento migliore per formulare una previsione è il giorno dopo l’evento! (Cit.)
E il giorno dopo l’evento è sempre tutto facile, tutto prevedibile, tutto scontato. Anche nelle elezioni.
Occorre, quindi, avvolgere il nastro per amor di verità.
Lo facciamo, con questo articolo, andando indietro nel tempo per far luce su alcuni aspetti “tecnici” della vittoria di Giovanni Di Pangrazio nelle comunali di Avezzano.
La comunicazione politica, come ogni forma di arte, si nutre della tecnica e la oltrepassa.
C’è arte, quando la tecnica è presente ma non si nota. C’è arte quando tutto sembra naturale.
Per descrivere una campagna elettorale dobbiamo, quindi, scomporre alcuni passaggi che vengono notati solo se visti “al rallentatore”.
Facciamo alcune premesse necessarie.
1)Non è detto che una propaganda costruita bene, faccia vincere le elezioni. È invece quasi certo che una campagna fatta male le farà perdere.
2)La comunicazione non è la pubblicità, non è un orpello. È il messaggio e tutto ciò che lo porta a destinazione per arrivare al risultato.
3)La strategia sta funzionando quando l’avversario viene sul nostro terreno, usa le nostre parole o i nostri argomenti.
4)Non conta se la campagna elettorale è bella ma se è efficace.
E qui veniamo al punto cruciale del ballottaggio di Avezzano con una campagna “deliziosamente brutta”. Andiamo con ordine.
Per capire il punto di svolta di queste elezioni dobbiamo pensare ad un “bacetto”.
Proviamo a ricordare una circostanza di questo tipo: siamo sulla spiaggia, è il periodo delle primissime esperienze sentimentali, è una sera d’estate, la temperatura è gradevole, suona quella musica che non dimenticheremo mai, viviamo le ultime ore di una vacanza discreta, in un posto discreto, con un mare discreto ed alloggiamo in un albergo discreto.
Però quella sera, la tizia che per 15 giorni non ci si era filata di pezza decide, in uno slancio di passione (o compassione), di dare un bacetto proprio a noi (naturalmente c’è anche la versione femminile della storia).
Ed ecco che tutta la vacanza assume una luce diversa. Tornati a casa parliamo bene del posto, il mare diventa eccezionale, l’albergo confortevole.
Gli ultimi 5 minuti di casto bacetto, che nella narrazione maschile verranno amplificati nei termini di immani gesta erotiche, gettano una splendida luce su tutto.
Un grande premio Nobel per l’economia, Daniel Kanheman, ci spiega che la gente tende a valutare l’importanza dei problemi in base alla facilità con cui li recupera nella memoria.
Che cosa è più facile richiamare nella memoria? Gli ultimi accadimenti; soprattutto se significativi.
Il “Sé che ricorda” è il vero dittatore delle vicende umane. Se un film è carino ma il finale è pessimo, racconteremo che il film è pessimo; se la vacanza è mediocre ma il finale sublime, porteremo un ricordo splendido.
Gli istanti conclusivi di un evento ne determinano il giudizio.
Cosa ha a che fare, questo concetto, con il ballottaggio di Avezzano?
La questione fondamentale è che il “bacetto” che noi tutti avevamo nella testa, quindici giorni fa, era quello di De Angelis a Di Pangrazio.
Ve lo ricordate? Siamo nel Giugno del 2017; Di Pangrazio sembra imbattibile ma, al termine di un ballottaggio acceso, inaspettatamente vince Gabriele De Angelis.
Da allora, quelli che capiscono la politica e che, fino ad un momento prima giudicano impossibile la vittoria dell’assicuratore, cambiano racconto. E raccontano che Gianni Di Pangrazio non è amato, è inviso alla città, che avrebbe perso contro chiunque.
Come tutte le stupidaggini ripetute da molti, questa cosa diviene opinione comune. Il “bacetto” di De Angelis non è più un evento ma un destino e, il candidato considerato imbattibile, diviene quello baciato dalla sconfitta: quello che perde i ballottaggi.
Ora, voi direte: e il risultato del 2012?
Non se lo ricorda un Kanheman! Ci viene in mente solo l’ultimo file.
Quindi, alla fine del primo turno di queste elezioni, ci troviamo con un candidato che ha ben 8000 voti, 13 punti percentuali di vantaggio, una bella squadra, uno staff di ragazzi determinati, esperienza superiore, ma il brusio di fondo è: “Tanto Gianni, al ballottaggio, perde!
Lo dicono molti avversari, lo teme qualcuno dei suoi.
E negli occhi, proprio lui, ha ancora il ricordo del “bacio” di De Angelis.
Così arriviamo alla svolta fondamentale delle elezioni comunali 2020.
Napoleone Bonaparte sostiene che “Dio è sempre dalla parte dei battaglioni più numerosi”.
Significa che, per vincere, dobbiamo cercare di stare nel posto migliore, con i numeri migliori.
Qual è il campo di battaglia su cui si gioca un ballottaggio?
Il campo di gioco è lo spazio di circa 15 centimetri che separa le nostre orecchie: è la testa dell’elettore. E ciò è ancor più vero quando siamo liberi dalla persuasione dei cugini che chiedono il voto.
Occupare il posto migliore nella testa per avere truppe maggiori e consensi superiori! Questa è la sfida.
I numeri fatti di liste, accordi, apparentamenti formali o informali, seguono immediatamente per importanza con una peculiarità: nell’elezione del Sindaco (a differenza di quello che accade per il consigliere comunale) non vince chi ha più amici; vince chi ha meno nemici.
Si può scegliere un apparentamento per una logica di altissima tensione etica o di bassissimo tornaconto: in tutti e due i casi, quella decisione, dipenderà dalla percezione del candidato, della probabilità della vittoria, dal senso della sfida.
Il voto è la risposta ad una domanda e la campagna elettorale serve a far sì che, quella domanda, vada a favore del candidato.
Se all’opinione pubblica avezzanese fosse stata posto il quesito: “preferite Di Pangrazio o un candidato di centro destra?”, secondo voi quale sarebbe stata la risposta delle urne?
La sconfitta di Giovanni Di Pangrazio con buona pace dell’esperienza, della competenza, del video animato con i punti del programma, della bella squadra, del curriculum, della indiscutibile abilità nel ballo più volte dimostrata sul palco.
Per questo, il candidato civico, prende due decisioni fondamentali.
La prima: fa pace con la sconfitta. Anche Churchill perde le elezioni, dopo aver salvato l’Inghilterra e la democrazia! Poi, cinque anni dopo, torna Premier.
Far pace con la sconfitta aiuta l’ex Sindaco ad avere più voglia di vincere, meno paura di perdere e ad accettare il fatto che, nella vita, non sempre i baci che riceviamo sono quelli che vorremmo.
La seconda: cambia completamente il messaggio.
Capisce che, la competenza pur essendo importante non sarà decisiva.
Intuisce che, nel posizionamento politico classico, può essere svantaggiato.
Comprende che, per focalizzare l’attenzione su una domanda diversa, c’è bisogno di un nemico di cui essere degni. Altrimenti, per molti, il nemico sarà lui.
Quell’avversario deve essere vero, arrogante, brutto, antipatico, comprensibile a tutti.
Ed ecco, la genialata: “La Lega aquilana”.
Dal martedì successivo al primo turno, un argomento presente, ma secondario, diventa il “tormentone” della campagna elettorale.
È un mantra: non c’è comunicazione che non esca senza un riferimento al tentativo palese, prepotente e facilmente comprensibile, di mettere Avezzano sotto tutela.
La strategia è raffinata: il nemico esterno offre un motivo per l’alleanza a tutti e per il voto a ciascuno.
Il racconto della campagna diviene efficace e più adatto al ballottaggio.
Prima era una cosa del tipo: siamo otto (liste) e andiamo a vincere fischiettando, perché la nostra candidatura a Sindaco è la più bella del reame”. Sembra la trama di Biancaneve e i sette nani: Dotto, Brontolo, Cucciolo, Votalo…
Lo staff dell’ex Sindaco vira decisamente verso qualcosa di più epico: il guerriero marso, Bravehearth, Attila flagello di Dio!
La cosa più interessante è che, per la prima volta, trovano spazio elementi cruciali di ogni storia efficace: la caduta, la chiamata e il possibile riscatto (inteso come rivincita!)
La Città di Avezzano punisce puntualmente l’arroganza. Ama i carri dei vincitori a condizione che non facciano sentire nessuno un perdente.
Messa così sembra un racconto omerico. In realtà viene condito con battute, vignette, caricature, foto con il biliardino, foto con il cane.
Ne esce una via di mezzo tra l’eroico e lo spiritoso ma sempre con il messaggio di sottofondo ben presente: una roba del tipo “Amici miei atto II”: “Tarapia tapioco come se fosse D’Eramo?” “Antani, della Lega Aquilana!”
Funziona e anticipa la “cantilena” del centrodestra cittadino che mostra la creatività del Ragionier Filini ed è costretto a ricorrere allo stesso argomento di otto anni fa: “quello lì è di sinistra!”.
Con questo scenario, la domanda cambia.
Non è più: “Chi scegli tra Di Pangrazio e il centro destra?” ma “Chi scegli tra La Lega aquilana e Gianni?”.
Possiamo accorgerci che funziona, quando i suoi avversari vanno sul tema!
Fanno tre comunicati per dire che Di Pangrazio ha lavorato a L’Aquila (cosa imperdonabile!), ha nominato un Assessore aquilano, è un adoratore delle lenticchie di Santo Stefano ed una volta, lo hanno visto raccogliere i fagioli di Paganica.
La partita della comunicazione è chiusa. La “lega aquilana” è top of mind! Il centrodestra, ora, insegue, anche sulla comunicazione e fa l’errore del principiante: grida “anche noi!”. Game over.
Arriva Generazione +, nuovo integratore elettorale, da prendere in compresse poco prima del ballottaggio, tenere lontano dalla portata dei bambini e mantenere vicino per tutti e cinque gli anni. Arriva Del Boccio, arriva Babbo.
A nulla servono gli ultimi “intelligentissimi” appelli di qualche esponente leghista, se non a convincere gli indecisi: “vi togliamo l’ospedale e il Tribunale, se votate Di Pangrazio!”.
Ottimo. Possiamo tenere almeno la Cattedrale?
Finisce come era immaginabile: tanto a poco. Dopo l’ultimo balletto in piazza, anche la giuria di Amici vota Di Pangrazio.
I partiti del centrodestra sono costretti a cercare qualcosa di buono nel disastro (voluto).
Potrebbero invece imparare che, per apprendere qualcosa dalla caduta, bisogna evitare di prendersi in giro, chiedere scusa e trovare un motivo per rialzarsi con dignità.
In caso contrario, il destino, li riempirà di bacetti.
Grazie a tutti.