di Armando Floris
AVEZZANO – Le elezioni comunali di Avezzano erano ormai quasi decise. Poteva configurarsi una vittoria al primo turno.
Un’analisi rigorosa e scientifica dei dati ha reso però evidente che centinaia di persone, per continuare a leggere questa rubrica, hanno fatto il voto disgiunto o hanno optato per liste minori. Per rispetto nei loro confronti abbiamo quindi deciso di continuare, almeno fino al ballottaggio, a fornire elementi di analisi seri e comprovati in vista del voto.
Cerchiamo di attenerci allo stesso spirito del primo turno: “ridere con” e “non ridere di”. Prendere sul serio il compito senza prendersi troppo sul serio.
Immaginate un racconto che inizi così: “Ogni giorno un avezzanese si alza dal letto, con scatto felino blocca il suono della sveglia, chiama a raccolta le ciabatte che tornano dal consueto giro notturno, oltrepassa il comodino evitando l’impatto del piede con il medesimo, sfida l’oscurità del corridoio, si guarda allo specchio dicendosi che, in fondo, c’è di peggio e poi prende lo spazzolino”.
Secondo voi, da quale parte comincerebbe a lavarsi i denti, il tizio del racconto?
Semplice: da dove ha sempre iniziato.
La legge dello spazzolino da denti è drastica e osservata con scrupolosità: da anni cominciamo dallo stesso punto e ci muoviamo secondo un ordine routinario.
Buona parte dei comportamenti umani è formata da cose che partono in automatico (tipo ciò che parte in automatico quando il mignolo urta lo spigolo!).
Perché abbiamo tante abitudini consolidate? Per risparmiare.
Ogni giorno prendiamo circa 30.000 decisioni.
Mentre scorriamo il dito sullo schermo del cellulare, scegliamo se continuare a leggere questo articolo o no. E lo facciamo ogni 10 parole.
Quando apriamo un sito web, in meno di 3 secondi, valutiamo se chiuderlo o meno. Insomma, pur senza accorgercene, decidiamo in continuazione e la cosa ci affatica. Per questo le scelte fatte al mattino sono le migliori.
Dobbiamo scegliere meno, per scegliere meglio.
Così facciamo per il voto alle elezioni comunali. Vogliamo delle scorciatoie: la fatica di dover dire di no a tutti quei cugini, consuma energie mentali!
Per alcuni, circa 50 candidati nelle consultazioni di Avezzano, è stato così complesso che hanno deciso di non votare neppure sé stessi. Dopo il voto utile e quello futile, c’è stato il voto umile: hanno ritenuto non opportuno, per il bene della città, darsi il loro consenso!
E allora servono pochi parametri, un solo fattore, per andare con o contro qualcuno.
Accade ciò anche ora, nell’individuazione del meglio o del meno peggio, per il ruolo di Primo cittadino.
Serve un concetto, una dannata parola, un frame, come lo chiamano quelli bravi.
A quale immagine o parola associate il candidato? La campagna elettorale serve essenzialmente a rispondere a questa domanda.
Un famoso linguista americano, da sempre, suggerisce ai politici statunitensi di usare termini più adatti per illustrare temi cruciali: “invece di pressione fiscale o sgravio fiscale o imposizione fiscale, definite le tasse con la parola contributo!”. Così non le pagheranno volentieri, però ci sarà un senso di minor fastidio.
Non a caso i provvedimenti presi dal parlamento, assumono ultimamente nomi altisonanti e positivi: “sblocca Italia, cresci Italia, cura Italia”. Per fortuna non hanno deciso di farne uno sull’incremento delle nascite; altrimenti ci sarebbe stato da ridere!
Naturalmente, non basta un giro di parole per convincere ed è importante evitare qualche errore grossolano.
Ricordate la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto? Una metafora bellica raramente è apprezzata dal popolo di sinistra.
Anche il tentativo maldestro di tradurre e adattare slogan fortunati ed esteri è spesso accompagnato da insuccesso. In effetti, tradurre “Yes, we can” con “si può fare” (Veltroni) non è una grande pensata.
Una cosa è sostenere “Sì, noi possiamo!” e lanciare un progetto di cambiamento nel presente.
Altra, è la forma impersonale “si può fare”.
Pensate ad un matrimonio e alla fatidica domanda del parroco “vuoi tu, Nicolino, prendere in sposa Clementina?”
E immaginate la risposta “si può fare!”.
La questione non riguarda la grammatica ma l’efficacia.
Su tale aspetto, la propaganda nelle attuali consultazioni cittadine è stata piuttosto indovinata. Fin troppo!
In effetti, dopo due mesi di campagna elettorale un po’ del vocabolario diffuso è uscito intaccato dai termini più utilizzati. Le formule tecnico- elettorali sono diventate di uso comune.
“Cercami, come Di Pangrazio cerca i candidati!”
“Ho comprato un apparentamento in centro!”
“Se non hai i santini in paradiso non vai da nessuna parte!”
“Ti lascio, ma possiamo rimanere una preferenza doppia di genere!”
“Mi manchi, quanto quei cento voti a Mario Babbo!”
“Il mio amore per te è Mascigrande!”
“Che facevi ieri con quello?”. “Il disgiunto!”
Così come rimangono negli occhi le immagini dei comizi e degli elettori che fanno la collezione dei santini quasi fossero dei vini pregiati: “ti do tre Pestilli 2020 per un Pissino 2007. Annata eccezionale!
Comunque, come era facilmente prevedibile, ci sono due sfidanti al ballottaggio e stiamo entrando nella settimana decisiva.
Genovesi ha avuto la fortuna di passare per pochi voti al secondo turno superando Mario Babbo.
Può godere dell’“effetto sorpresa”. Se vinci la semifinale ai rigori, sei molto carico per la finale!
I suoi detrattori puntano sulla mancanza di competenza nel gestire un ruolo complesso come quello di Sindaco di una città di 43.000 abitanti.
In campagna elettorale, un noto esponente politico del centrodestra, usò una metafora molto pesante sulla candidatura leghista: “è come mettere una Ferrari in mano a un sedicenne!”
Per ora, la curva del primo turno è stata superata al suono di “Tutti vicesindaco”, “Noi siamo il vero centrodestra”, “Un nuovo domani…”.
In televisione appare piuttosto sicuro di sé al punto che talune dichiarazioni, con sguardo fisso in telecamera, sembrano l’annuncio di un sequestro di ostaggi.
“Domani mattina alle ore 6:00 libereremo Di Berardino, Iucci, la Dominici e Verdecchia!” (licenza narrativa!).
Di Pangrazio ha dovuto formare otto liste; certamente è un po’ più stanco e meno favorevole, per indole, allo scontro ideologico. Nel balletto sul palco, nell’ultimo comizio, avrà consumato parecchie energie: dai tempi del Moonwalk di Michael Jackson non si vedeva una performance di così alto livello!
Ha due elementi molto importanti da giocarsi.
Il primo: finalmente ha fatto pace con la sconfitta dell’altra volta. Da cosa possiamo accorgercene?
Dal fatto che ne parla con serenità.
Nell’ultimo confronto televisivo ha ricordato l’applauso dei ragazzi delle scuole al Teatro dei Marsi. Era un ex Sindaco sconfitto. Ma lo consideravano ancora il loro Sindaco. Tempo fa non ne avrebbe parlato per niente.
Poi c’è un dato: questo ballottaggio, per molti versi, è più simile a quello da lui vinto nel 2012 che a quello perso nel 2017.
Il secondo vantaggio: in caso di vittoria, la squadra dei Consiglieri appare valida.
Infine, il voto delle regionali ha premiato chiaramente gli amministratori più credibili.
Le liste di Toti e Zaia hanno superato le forze politiche nazionali e i candidati improvvisati e catapultati, come in Toscana, sono stati bocciati dall’elettorato.
Per l’ex sindaco potrebbe essere un buon segnale.
Ma la mossa segreta e inedita, l’ha ideata per evitare l’apparentamento. Sulla scheda elettorale per il voto al Sindaco, troveremo infatti la dicitura Giovanni di Pangrazio detto Babbo. Una furbata, anche perché, per Genovesi, sarebbe molto più difficile scrivere Tiziano detto Anna Maria.
A presto.