AVEZZANO – Le parole e il linguaggio investono e riguardano l’intera vita di un uomo. Parole del cuore le abbiamo tutti. Sono termini di uso quotidiano, diminutivi, vezzeggiativi, qualche volta parole dialettali o espressioni che rivestono un’importanza particolare, capaci di essere poetiche o magari anche grossolane. Ve ne sono alcune che appartengono strettamente ad un idioma, non tradotte perché intraducibili in altre lingue!
La nostra lingua vanta un numero importante di questi termini. Si prenda la parola “mozzafiato”, che ha un corrispettivo in lingua inglese “breathtaking” che letteralmente significa “prende il respiro”. Nella nostra lingua, tuttavia, il significato della parola è molto più esplicativo in quanto con “mozzafiato” si intende qualcosa che “colpisce fortemente, così da impedire quasi di respirare, che suscita grande impressione, stupore, ammirazione”.
Il termine “rocambolesco” di cui La Treccani spiega il significato derivandolo dal sostantivo Rocambole, l’audace e spregiudicato protagonista dei romanzi d’appendice avventurosi dello scrittore francese P.-A. Ponson du Terrail, personaggio al centro di situazioni alquanto avventurose contrassegnate da continui colpi di scena. E se noi possiamo esprimere le sfumature di concetto con un solo termine, gli anglofoni devono invece farlo con una frase.
Possiamo continuare la nostra lista con innumerevoli altre parole di tal natura, come per esempio “meriggiare” “pantofolaio” “gattara” “trasecolare” o anche “magari”. Infatti, perché dire “If only it were true” o “Yeah, right” quando poi possiamo usare la sola parola “Magari”? Magari non c’è neanche bisogno di spiegazioni… ecco!
Di parole straniere suggestive ed intraducibili, possiamo citare il termine turco “yakamoz”. Il significato, in italiano (e anche in tedesco) è traducibile con almeno sei parole: vuol dire “il riflesso della luna sull’acqua“.
Ma è anche un termine che nella lingua turca è capace di assumere diversi valori semantici. “Yakamoz” infatti si riferisce anche alla composizione di quei microorganismi in grado di formarsi sott’acqua, soprattutto nel Bosforo – lo stretto che corre lungo Istanbul separando geograficamente l’Europa dall’Asia – e che, nelle notti di luna piena, sono capaci di dare uno scintillio alle piccole onde create dai remi dei pescatori e dal cui riverbero gli istanbuliti sono soliti farsi rapire quando in mare, o seduti a riva, vivono il cosiddetto “alem“, cioè “il momento di rilassarsi in compagnia degli amici.
Nel lontano dicembre 2007, la redazione della rivista tedesca «Kulturaustausch» (Scambio di culture) organizzò una gara tra le parole provenienti da tutto il mondo.
La parola più bella, dopo un dibattito fra i lettori e un appassionante ballottaggio, risultò essere proprio “yakamoz”.
In conclusione, riportiamo ora un breve ma significativo estratto di racconto, tratto dal quotidiano online -Il Mitte-:
“…Moussah la scostò leggermente e mi invitò a passare. A quattro zampe mi infilai nel piccolo varco e lui fece lo stesso. Lo seguii senza dire nulla e mi misi al suo fianco, quando si mise a sedere su una collinetta del prato.
Di fronte a noi l’aeroporto, con i suoi hangar abbandonati e i suoi radar disorientati. La luna illuminava tutto, era grandissima di fronte a noi.
“Chiudi gli occhi” mi disse “lo vedi il mare?”.
Sorrisi, pensando che il mare mi mancava, mi mancava il suo profumo, il suo rumore inquieto delle notti di tempesta, il suo enorme silenzio nella calma piatta.
“Questo si chiama Yakamoz” continuò lui “è il nome che diamo in Turchia al riflesso della luna sull’acqua. Non esiste un’altra parola in nessun’altra lingua, per dirlo”.
Da quel momento decisi che quella sarebbe stata una delle parole più belle e più romantiche del mondo, almeno per me“.