ABRUZZO – Negli ultimi mesi anche in Abruzzo, come nel resto d’Italia, le cronache giornalistiche sono state monopolizzate da annunci allarmistici di invasioni di cinghiali, di coltivazioni devastate, addirittura di famiglie con bambini costrette a fuggire perché inseguite da cinghiali inferociti ecc… Notizie che hanno poi suscitato la nascita di gruppi sui social, di comitati, associazioni, creati appositamente per cercare di condizionare il politico di turno, sempre pronto a cavalcare la “moda” populista del momento, solo per propri fini elettoralistici.
Quando però si vanno a verificare queste “notizie”, date per certe, si scopre invece che la realtà dei fatti non è esattamente come viene narrata e che spesso ci troviamo di fronte a dei racconti artatamente amplificati o perfino letteralmente inventati, con il preciso scopo di creare allarmismo e paura nella popolazione, a tutto vantaggio di una precisa categoria di soggetti: i cacciatori di cinghiali! Già perché poi, quando si risale alla fonte, ovvero all’inizio di questa campagna di vero e proprio “terrorismo” mediatico, si scopre che tutta la polemica ha avuto inizio dal varo del nuovo Piano Faunistico Venatorio Regionale dell’Abruzzo, il quale, guarda caso, prevede la completa eradicazione della specie cinghiale in un’ampia fascia del territorio regionale che comprende tutta l’area collinare e costiera abruzzese.
Si dà il caso, infatti, che quest’area, che rappresenta oltre un terzo del territorio regionale, sia anche quella più idonea, dal punto di vista delle fonti di cibo, al cinghiale, ma sia anche la zona dove non sono presenti aree protette e quindi quella più sfruttabile per la caccia! È comprensibile quindi che i cacciatori e in particolare quelli che praticano la caccia al cinghiale, si sentano penalizzati da questo Piano Faunistico Venatorio e che per questo cerchino di contrastarlo, avanzando la richiesta di aprire la caccia al cinghiale dentro i parchi nazionali e regionali abruzzesi, con la falsa motivazione che le aree protette rappresentino un rifugio sicuro per gli ungulati. I dati però, ed è proprio il PFVR abruzzese ad affermarlo, sostengono che la maggior parte degli incidenti stradali che hanno visto il coinvolgimento di cinghiali sono concentrati nell’area Sud-Est abruzzese, ovvero nell’ATC Vastese, dove però solo l’1% del territorio è vietato alla caccia! Inoltre, queste aree inglobano anche le attività antropiche, addirittura industriali e quindi è impossibile che esse fungano da bacino di proliferazione dei cinghiali. Senza considerare poi che nelle aree protette sono molto frequenti le attività illecite e di bracconaggio, con gabbie home-made, lacci e balestre, perciò di fatto non esistono aree libere dalla pressione venatoria, lecita o illecita che sia.
Risulta del tutto evidente quindi come sia assolutamente priva di qualsiasi fondamento scientifico l’equazione aree protette = + cinghiali, mentre invece i dati reali dimostrano in modo inconfutabile come la proliferazione della popolazione del cinghiale e quindi anche l’aumento dei danni causati all’agricoltura e degli incidenti stradali, si concentrano proprio laddove la caccia è aperta e dove si praticano le braccate al cinghiale e come quindi essa sia una diretta conseguenza della eccessiva pressione venatoria nei confronti di questa specie. E non si tratta di un paradosso!
Ad affermare questo concetto, infatti, non sono i soliti “fanatici animalisti”, ma i risultati che emergono dall’analisi dei dati sugli incidenti stradali che hanno coinvolto cinghiali, forniti dalla stessa Regione Abruzzo e dagli ATC e che sono stati resi pubblici in occasione dell’incontro pubblico “Emergenza cinghiali: dentro e fuori delle aree protette”, tenutosi Giovedì 20 Febbraio a Vasto.
In quell’incontro, i grafici hanno dimostrato che nell’arco di 4 anni il picco degli incidenti stradali si è sempre registrato durante i mesi di apertura della stagione venatoria! Un altro grafico ha dimostrato come il maggior numero degli incidenti stradali si è verificato nel territorio del Comune di Vasto, guarda caso quello più “produttivo” in fatto di abbattimenti di cinghiali e con la minore superficie di aree protette dell’intero ATC! Un altro grafico molto importante, mostrato nel corso dell’incontro di Vasto, ha comprovato che, in base ai dati ufficiali della ASL e del servizio veterinario, la probabilità di avere incidenti con cinghiali è esponenzialmente più alta proprio nei mesi in cui è aperta la caccia!
I Comuni dove è più alta la probabilità di avere incidenti con cinghiali sono Vasto, Ortona, Casalbordino e San Vito Chietino, tutti comuni situati lungo la fascia costiera dove il PFVR ha previsto l’eradicazione della specie. Questi dati e grafici stanno a dimostrare, inequivocabilmente, come l’aumento della popolazione del cinghiale non dipenda affatto dalla presenza di aree protette dove questi animali trovano rifugio, come finora invece è stato sempre sostenuto sia dai cacciatori che dai politici. I branchi dei cinghiali, infatti, sono dominati dalle femmine “matriarche”, le quali sono le uniche che si riproducono, proprio grazie all’emissione dei feromoni, che inibiscono la fertilità delle altre femmine di rango inferiore. I cacciatori, che peraltro sono quelli che hanno creato il problema, introducendo in Italia, per i loro interessi venatori, la specie di cinghiale dell’Europa dell’Est, molto più grossa e prolifica di quella italica, conoscono bene questo fenomeno. Infatti, durante le loro braccate al cinghiale, abbattono volutamente le femmine matriarche, creando quindi la disgregazione dei branchi, ed innescando una reazione “liberatoria” nelle altre femmine di rango inferiore, che vanno subito in estro, riproducendosi più volte nello stesso anno e formando a loro volta altri branchi.
Questa semplice “verità”, che come LAC stiamo cercando da molti anni e con estrema difficoltà di spiegare all’opinione pubblica, sta finalmente iniziando ad essere presa in considerazione, come dimostra la decisione del TAR Toscana di sospendere la caccia in braccata al cinghiale, proprio per evidenziare la correlazione tra la pressione venatoria e l’incremento della popolazione del cinghiale. Ci aspettiamo ora analoghe prese di posizione ed atti legislativi conseguenti anche da parte dei politici ed amministratori della Regione Abruzzo, come pure una corretta analisi del fenomeno da parte delle associazioni degli agricoltori, che finora si sono invece preoccupate molto di più di tutelare gli interessi dei cacciatori che quelli dei loro associati. Inoltre, ci attendiamo maggiore onestà intellettuale e serietà professionale da parte di certi giornalisti che, pur di avere maggiore visibilità personale o per vendere qualche copia in più, continuano a dare credito e spazio al falso mito della caccia quale unica risolutrice degli squilibri faunistici e diffondendo nell’opinione pubblica l’errata percezione che sia in atto un’invasione da parte dei cinghiali.
Quegli stessi giornalisti che poi invece tacciono sui lauti guadagni derivanti dal ricco business che ruota intorno alla macellazione e alla vendita dei cinghiali uccisi, a tutto vantaggio di chi il problema lo ha determinato, ovvero proprio degli ATC e delle associazioni venatorie! La soluzione al problema della proliferazione e diffusione dei cinghiali non è quindi nella caccia, altrimenti la specie sarebbe da tempo estinta, vista l’accanita persecuzione che da almeno 50 anni gli viene fatta, ma nell’utilizzo di dispositivi ottici, acustici ed olfattivi di ultima generazione, che tengano lontani dai terreni e dalle strade i cinghiali e gli altri ungulati, come i caprioli. Esistono infatti degli appositi progetti, finanziati dalla Unione Europea, come il Progetto LIFE Strade, che hanno dato ottimi risultati nelle Regioni dove sono stati sperimentati, come le Marche, l’Umbria e la Toscana.
Poi a mantenere sotto controllo il numero dei cinghiali penserà il loro predatore naturale, ossia il lupo, che guarda caso è aumentato negli ultimi anni di pari passo al cinghiale, proprio beneficiando della aumentata disponibilità sul territorio di quest’ultimo!
COMUNICATO STAMPA