AVEZZANO – Inizia la rassegna del “Teatro OFF” al Castello Orsini, viva è l’attesa di incontrare uno straordinario personaggio dello spettacolo italiano: Flavio Bucci. Grande interprete di ruoli indimenticabili da Antonio Ligabue, pittore naif, a Don Bastiano, prete ribelle e brigante nel “Marchese del Grillo”, protagonista teatrale dei più grandi autori da Shakespeare a Boll, da Pirandello a Gogol. Tantissimo cinema e ancor di più televisione.
In programma “E pensare che ero partito così bene” da lui interpretato e scritto con Marco Mattolini che ne ha firmato la regia. Finalmente il sipario si apre e la scena appare di una misera semplicità. La proiezione è l’immagine dell’interno di un bar, per dare la motivazione di quel tavolo apparecchiato con bicchieri, bottiglie e…. posacenere. Si doveva partire dalla ipotesi di quattro chiacchiere al bar, ma è stato difficile, perché nel ricordo di quella voce così profonda e particolare, ne esce invece un’altra roca, soffocata dalle tante sigarette fumate, alla ricerca della parola scritta, di quei fogli girati per comprenderne il proseguo. Parola strozzata, mangiata per rivelare i ricordi di del suo incredibile percorso d’attore. Le proiezioni si susseguono con i volti dei colleghi e dei registi più famosi del panorama cinematografico nazionale ed internazionale, con sui ha condiviso la scena.
Poi da quel torpore della mente che ti narcotizza nel non voler accettare il tramonto di un grande artista, ecco la trasformazione. Poco importa se in cuffia arriva il suggeritore, quel viso si trasforma, si plasma e vive la maschera che tutti hanno amato, e cancella l’immagine di quell’attore così schiacciato dall’età e da una vita di vizi. Un incredibile Riccardo III, malizioso, subdolo, ammaliatore e quegli occhi vispi , che parlano più di mille parole, tradiscono l’invalidità scenica.
Lo spettatore vede quel che permane di un grande attore, Flavio Bucci, un uomo che pur se profetizza “ho vissuto la vita che volevo”, sul palcoscenico ha rappresentato la celebrazione del decadimento, un palcoscenico lastricato di tutte le regole non rispettate. Eppure emerge una contraddizione forte, strana, prevalicante, l’ammirazione per quell’uomo che se pur sconfitto dagli abusi della sua vita, alla soglia dei 72 anni, ha voluto esprimere la sua cruda realtà, mettersi a nudo davanti al pubblico che tanto lo ha applaudito. A sorpresa, il personaggio e gli aneddoti da bar lasciano posto al grande attore che si esibisce in frammenti di opere che ricordano al pubblico il suo talento: Diario di un pazzo di Gogol’, Uno, nessuno e centomila di Pirandello e appunto “Riccardo III” di Shakespeare.
“Quando finisce un amore” cantava Cocciante, ma forse non è proprio cosi, qui un motivo lo senti, “senti un nodo nella gola, e senti un buco nello stomaco, senti un vuoto nella testa e non capisci niente, in fondo pensi ci sarà un motivo e cerchi a tutti i costi una ragione, eppure non c’è mai una ragione perché un amore debba finire. “
Però se potessi ragionarci sopra saprei perfettamente che lui non sarà più lui e non sarà piu’ lo stesso uomo. Magari lo avrò già dimenticato, magari se potessi ragionarci sopra, ma non posso.