AVEZZANO – Importante convegno quello svoltosi ieri pomeriggio nella Sala Antonio Picchi del Palazzo Torlonia di Avezzano dove, ad attendere il Segretario generale della FIOM-CGIL, Francesca Re David, ed il Responsabile Ufficio Analisi Quantitative e Innovazione Finanziaria, Professor Marcello Minenna, abbiamo trovato il Segretario generale FIOM-CGIL provinciale, Elvira De Sanctis che, gentilmente e preliminarmente all’inizio del dibattito, così ci ha risposto sull’oggetto dell’incontro e sugli intendimenti futuri: “L’obiettivo di oggi è riportare al centro dell’attenzione la vertenza Lfoundry, fondamentale per il territorio in termini economici e sociali. E’ necessario acquisire elementi che ci consentano di comprendere fino in fondo quello che sta succedendo, posto che la questione LFoundry non ha carattere esclusivamente locale ma interessa ampi e più vaste aree geografiche, soprattutto per le ripercussioni di carattere economico a cui può portare.
Sappiamo tutti che la Cina ha intrapreso un percorso di carattere economico di grandi investimenti e vogliamo capire se anche LFoundry rientri in questo piano complessivo ed in che maniera. Per la Cina non è una novità avere a che fare con aziende in Europa ed in Italia; tutti i giorni sentiamo di passaggi di quote di queste aziende in mani cinesi. Il punto è che non sappiamo quali saranno le prospettive, qual è il piano finale della Cina, se quello di acquisire conoscenze, quello di ricavarsi un ruolo da protagonista a livello internazionale e di conseguenza depredare il Know how di riferimento.
LFoundry, azienda produttrice di sensori di immagine per il mercato dell’Automotive, ad oggi per conto di un unico cliente, la statunitense ON Semiconductor, circa un anno fa ha dichiarato la necessità di ricorrere ad un ammortizzatore sociale, il famoso contratto di solidarietà per un perido di 18 mesi. Tale richiesta è stata avanzata senza definire quale processo industriale questo ammortizzatore sociale dovesse accompagnare.
In assenza di una visibilità del Piano, a cui l’azienda sta comunque lavorando, e mancando anche degli elementi di salvaguardia del reddito dei lavoratori che per noi erano essenziali, la FIOM ha deciso di non sottoscrivere quell’accordo sul contratto di solidarietà.
A fine luglio, lo stabilimento di LFoundry è stato oggetto di una vendita – peraltro non priva di colpi di scena perché si sono avvicendati una serie di soggetti – passando al 100% sotto il controllo cinese. Tale operazione è stata condotta dai vertici dell’azienda in modo esclusivo, escludendo ogni tipo di relazione col territorio, con le organizzazioni sindacali, scegliendo di evitare ogni forma di condivisione del processo che stava mettendo in campo.
Sulla scrivania della Fabbrica ci sono diverse richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali, in particolare dalla FIOM, rimaste inevase.
Non c’è stato alcun Tavolo istituzionale per delle verifiche sul processo che stava avvenendo, seppur sollecitato. L’unica sede che ha visto l’azienda fornire delle spiegazioni su quanto stesse accadendo è stata quella del Ministero dello Sviluppo economico ad Ottobre, dove abbiamo appreso dai rappresentanti aziendali è che oggi la LFoundry, a 30 anni di distanza dall’avvio delle attività da parte della Texas Instruments, è una “StartUp”; che il contratto commerciale con l’attuale unico cliente è in una delicata fase di rinnovo; che è in programma una radicale trasformazione dello stabilimento da “solo produttivo” ad un centro che si occupa dell’intera fase della progettazione, della produzione del prodotto finale fino alla sua vendita, però non vi è traccia di investimenti; che alla attuale produzione di sensori di immagine l’azienda pensa di affiancare la produzione di importanti quantità di dispositivi di potenza.
Noi crediamo che questa scelta introduca un alto rischio di contaminazione incrociata, a livello di processo produttivo, contaminazione che potrebbe interferire con gli standard di qualità a cui i sensori devono essere conformi.
Noi crediamo che questa scelta possa compromettere il rapporto commerciale con ONSemiconductor, unico cliente.
Siamo di fronte ad un quadro che a nostro avviso è pieno di incertezze ed insidie ed abbiamo bisogno di comprendere il contesto globale all’interno del quale questa vicenda si colloca”.
Il Professor Minenna spiega: “Il sistema produttivo italiano ha una serie di problemi che non sono mai stati risolti. Alcuni, come soluzione, parlano di aggregazioni, di concentrazioni, di efficientamento dei processi; io dico “Stato”, Governance dei processi da parte di quella mano che deve tornare visibile. L’Euro ha cambiato i criteri di competitività dell’industria nazionale per cui prodotti simili in mercati maturi vedono uno spiazzamento finanziari della produzione che i Governi pro tempore hanno pensato di compensare svalutando il costo del lavoro.
Sono poi arrivati importanti colossi finanziari e produttivi da aree che prima erano in via di sviluppo, si pensi alla Cina e ad altri Paesi.
Infine, in questo nuovo quadro globale si è inserita la politica di Trump che, attraverso i dazi ed il signoraggio del Dollaro, ha portato vantaggi finanziari ed economici alla propria area valutaria.
Le opportunità da cogliere per evitare di essere schiacciati da tutto ciò sono abbastanza evidenti. Serve una nuova progettualità industriale da parte di chi governa questo Paese. Questo tipo di realtà, per poter essere preservate, anche in prospettiva, dovrebbero rientrare nell’ambito di un Piano Nazionale di rilancio della nostra produzione manifatturiera.
Avere una mappa dei rischi di impresa circa realtà importanti e non in difficoltà in ordine alla redditività, ma esposte a rischi operativi in quanto hanno pochi clienti concentrati, in specifiche aree geografiche, può essere fondamentale per costruire qualcosa, altrimenti inseguiremo progetti di altri che non necessariamente hanno una logica costruttiva. I Cinesi in molti casi hanno fatto operazioni apparentemente industriali ma in verità finanziarie che hanno portato allo smembramento di attività produttive.
Siamo in presenza di cicli storici che si ripetono in relazione a Paesi che entrano nel Capitalismo finanziario.
Ogni Regione d’Italia potrebbe farsi varico di una simile ricognizione, proprio in virtù della conoscenza del territorio in cui governa.
Bisogna inoltre trovare il modo di riconnettere il risparmio nazionale ad una progettualità di sviluppo industriale del Paese.
Vi sono 1.200 miliardi di Euro di liquidità non investita ed il Paese va a pezzi quando si potrebbero creare veicoli misti pubblico/privati dove lo Stato cartolarizza concessioni, mette garanzie, dove il risparmiatore fa investimenti produttivi, redditizi con rischi controllati.
La LFoundry ha perso la Governance nazionale ma la cosa veramente sconcertante è che attualmente non abbiamo una alternativa industriale e finanziaria disponibile”.
Il Segretario generale FIOM, Re David, aggiunge: “In Italia abbiamo assistito alla ubriacatura del Mercato che si autoregola. Lo Stato ha fatto un passo indietro; prima aveva le partecipazioni statali, la Cassa per il Mezzogiorno, e personale competente in tali materie.
Nei territori prima c’era un intervento dello Stato e le grandi Multinazionali che venivano ad investire erano tranquille che ci fossero, specie nel Centro Sud Italia, i sostegni della Cassa per il Mezzogiorno.
La totale assenza di politiche industriali ha portato tali aziende ad avere poteri “da sovra Stato sopra lo Stato”, nel senso che sono le loro scelte a determinare se c’è industria o no, facendo di fatto politica, mentre il Governo è impotente.
Ci vuole una idea pubblica, un piano nazionale con dei vincoli per chi viene ad investire. Ci vuole un intervento pubblico diretto sia in modo strutturale che temporale per capire se si sia in presenza di speculazione oppure no e dare delle certezze.
Il rischio di un impoverimento del Know how, della ricerca di aziende che vengono man mano acquistate da soggetti internazionali, deve essere dimensionato soprattutto lì dove si tratti di assetti strategici decisivi per vasti territori.
La politica del dazio sovranista sta producendo effetti negativi, soprattutto incentivando il ricollocamento del ciclo produttivo all’interno del proprio Paese.
Le aziende non investono in innovazione né redistribuiscono attraverso i salari; reinvestono in utili che redistribuiscono agli azionisti, a danno dei lavoratori.
Questa azienda, per quello che produce, per la sua storia e per ciò che rappresenta a livello territoriale, merita la massima attenzione ed il massimo impegno, da parte delle Istituzioni, locali e centrali, e da parte delle Organizzazioni sindacali, ad ottenere garanzie di sopravvivenza e di produttività nel lungo periodo per tutti i lavoratori interessati.”