AVEZZANO – La Pro loco di Avezzano insieme al Centro Studi Marsicani hanno voluto dare l’opportunità di conoscere e comprendere tutte le problematiche che comporta una malattia senile come l’Alzheimer e che coinvolge non solo il malato ma tutta la famiglia. Scopo del convegno coinvolgere i familiari per informarli e formarli sulle problematiche esistenti e, soprattutto, sull’approccio da avere con il malato.
Alla tavola rotonda “le risposte che cerchiamo”, dopo i saluti del vice presidente della Pro loco Ilio Leonio, hanno partecipato come relatori il direttore UOC geriatria e PO Avezzano professor Giovambattista Desideri, la dottoressa Patrizia Sucapane dirigente medico UOSD Neurologia del San Salvatore de L’Aquila, il Medico di Medicina generale dottor Domenico Valletta, la specialista nella psicologia dell’invecchiamento dottoressa Tina Sucapane e la psicologa esperta di relazioni familiare dottoressa Federica Fierro, professoressa Simona Sacco e il direttore del Distretto Sanitario Area Marsica Rossella De Santis.
Il problema della demenza è strettamente legato al problema dell’invecchiamento demografico della società . Oggi, in tutto il mondo, si hanno 35 milioni di pazienti ammalati, in Italia sono 1 milione di casi e in Abruzzo circa 25 mila casi.
Il primo passo per affrontare l’Alzheimer è conoscere questa malattia. La demenza porta via alla persona la propria memoria , le emozioni , i sentimenti, la personalità. Tutto questo fa in modo che i familiari non riconoscano più il proprio caro così come le stesse persone malate non riconoscono più se stessi.
Dal un punto di vista scientifico la demenza è una sindrome clinica che colpisce le aree del cervello deputate alle funzioni cognitive superiori, ovvero a quelle funzioni che ci permettono di avere la consapevolezza di noi stessi e dell’ambiente esterno e che ci mettono in relazione con gli altri e l’ambiente. Queste funzioni vengono alterate dal processo degenerativo e il malato diventa incapace di svolgere qualunque atto della vita quotidiana divenendo dipendente del familiare o caregiver.
Esistono diverse tipologie di demenze, alcune anche curabili, ma la causa principale è la malattia di Alzheimer che da sola rappresenta il 60% di tutte le forme di demenze. La demenza è un processo degenerativo che provoca la distruzione di tutte le cellule celebrali, ossia i neuroni, determinando un’atrofia del cervello. La morte dei neuroni è determinata da due differenti proteine che interrompono tutti i contatti tra di loro portando alla morte la cellule. Ad oggi la causa originaria di questo processo è sconosciuta ma sono stati individuati i fattori di rischio che vengono classificati in non modificabili e modificabili. I primi sono rappresentati dall’età, dalla storia familiare e dalla genetica. Ad oggi il principale fattore di rischio risulta essere quello dell’età, infatti dopo i 65 anni le probabilità di ammalarsi aumentano. I secondi sono condizionati da stili di vita o altre condizioni patologiche, da fumo , alcol, alimentazione scorretta, sedentarietà e depressione. Secondo numerosi studi, anche il basso livello culturale è strettamente correlato alla demenza senile perché è associato al concetto di riserva cognitiva. Di cosa si tratta? E’ la capacità del cervello di aumentare il proprio numero di neuroni e sinapsi attraverso una serie di stimoli adeguati che favoriscono l’aumentare del numero di neuroni e sinapsi. Questo meccanismo rappresenta un fattore di contrasto per la demenza che, al contrario, tende a distruggere i neuroni.
Si può agire sui fattori di rischio modificabili per ridurre la demenza cambiando questi fattori. In base al Report annuale dell’Alzheimer del 2014 della comunità scientifica, che ha studiato proprio queste relazioni, è possibile modificare il rischio di demenza modificando lo stile di vita attraverso tre strategie: controllare le malattie cardiovascolari, ridurre l’infiammazione ai processi infiammatori (mediante dieta adeguata, prescrizione calorica e attività fisica), e aumentando la riserva cognitiva attraverso la stimolazione cognitiva e partecipando alle relazioni sociali. E’ stato, infatti, dimostrato che mettendo in atto questo tipo di strategie è stato possibile prevenire, per la prima volta, un caso di Alzheimer su tre. Non si parla di risoluzione della malattia, ma sicuramente si può fare qualcosa per ridurre il rischio che si ha con l’avanzare dell’età.
La malattia inizia molti anni prima della comparsa dei sintomi e in questo lasso di tempo, che può durare anche 10 anni, non ci sono manifestazioni cliniche ma ci sono quelle biologiche che non danno segno fino a quando iniziano i primi sintomi, ovvero disturbi di memoria o stranezze.
La diagnosi arriva quando c’è una condizione clinicamente avanzata poiché si tende ad ignorare i primi sintomi. Dal punto di vista clinico la malattia coinvolge la sfera cognitiva, la sfera del comportamento e la sfera funzionale. I primi sintomi sono i disturbi di memoria recente, quando cioè la persona tende a dimenticare quello che ha appena fatto o si ritrova in stato confusionale. Con il passare del tempo, inizia a scomparire anche la memoria antica fino a quando il malato inizia a confondere e sovrapporre le due memorie; altri elementi tipici sono l’ossessione del voler ritornare a casa, confusione temporale, difficoltà con relazioni spaziali prima esterne poi interne, disturbi del linguaggio, disturbi dell’attenzione. I disturbi comportamentali compaiono in una fase più avanzata in cui si manifestano aggressività , ossessioni, agitazione e anche vere e proprie psicosi. Infine, il disturbo funzionale comporta la perdita di capacità di svolgere le attività nella vita quotidiana.
La diagnosi di malattie di demenza è fondamentale per prendere in carico il paziente , ma ad oggi nonostante la strumentazione diagnostica a disposizione ancora il 30% dei malati non viene diagnosticato. Come rallentare questa malattia? Esistono strumenti farmacologici e terapie non farmacologiche, ovvero tutte tecniche di riabilitazione cognitiva che, se integrate con la terapia farmacologica, possono migliorare le performance e le abilità residue del malato. E’ questo un aspetto da implementare nella gestione dei pazienti. La malattia non è guaribile, ma sicuramente è curabile e trattabile.
Bisogna poi considerare la questione famiglia del malato. L’Alzheimer è detta anche malattia familiare perché, oltre la persona interessata, si ammala tutto il nucleo con costi sociali, emotivi ed economici importanti. In particolare è il caregiver , ovvero il familiare scelto dal malato e che deve prendersi cura di tutti i bisogni di quest’ultimo, a risentirne maggiormente tanto da divenire lui stesso un malato.
Fierro: “La diagnosi di Alzheimer – spiega la dottoressa – porta un vero e proprio terremoto emotivo all’interno del sistema familiare, che deve riorganizzarsi. Solitamente il malato sceglie una persona all’interno della famiglia, il cosiddetto caregiver , che dovrà provvedere ai suoi bisogni. Il caregiver viene definito il secondo ammalato come conseguenza del carico eccessivo che deve portare”.
“E’ per tale motivo – le fa eco la dottoressa Patrizia Sucapane – che bisogna organizzare una rete integrata dei servizi per aiutare la famiglia a sostenere la malattia”.
“Nel prossimo futuro sono previsti numeri elevatissimi di malati di Alzheimer, tanto che si stima un malato ogni 7 secondi, quindi la demenza sta diventando un’emergenza socio sanitario e politica e bisogna organizzarsi da un punto di vista multi specialistico per questa patologia. Ancora di fatto – conclude la dottoressa Sucapane – si fa ben poco per questa patologia, nonostante se ne parli molto, soprattutto riguardo l’assistenza al paziente e al familiare. Spesso la demenza subisce lo stigma sociale e paziente e familiari vivono l’isolamento sociale”.
Presente all’incontro il direttore del Distretto Sanitario Area Marsica Rossella De Santis la quale ha tenuto a spiegare che: “Nel distretto abbiamo una serie di attività che si collegano ai problemi sia dei malati che dei loro familiari. Lavoriamo insieme al comune Avezzano e alla Comunità montana per l’integrazione socio- sanitaria e per la valutazione dei bisogni di questi pazienti. La Asl partecipa sia come erogazione dei servizi assistenziali, quindi assistenza domiciliare e riabilitazione, ma soprattutto con i sussidi economici che vengono dati con il Piano locale della non autosufficienza. Mi preme dire che– conclude – insieme al primario di geriatria dell’Ospedale di Avezzano il professor Desideri , che è referente del Progetto nazionale della presa in carico dei pazienti cronici, il Distretto sanitario proprio all’interno del progetto ha previsto un aiuto e supporto per il caregiver”.