di Tamara Macera
E lì in ogni momento. Quando cammini per strada tra persone e palazzi, quando sei solo in una stanza davanti lo specchio o dirimpetto i tuoi pensieri, quando entri in un supermercato e scegli il prodotto giusto e a basso costo, quando sei al lavoro, in università, a scuola, sotto il sole di maggio o al riparo dalle prime piogge autunnali, oppure in macchina mentre ridi, piangi, dai uno sguardo alla tua vita, a ciò che è passato e a ciò che sarà. Anche se non puoi vederla o toccarla, lei è lì, nelle frequenze della radio, del tuo smartphone, perfino in fondo ad occhi spenti o radiosi. La musica è il leitmotiv delle nostre esistenze, la colonna sonora ai nostri ricordi.
Alzi la mano quanti di voi, ascoltando una canzone, non sono tornati indietro a ripescare nel cassettino della memoria un’istantanea legata alle sue note! Non posso vedervi, ma sono convinta che siete davvero pochi. La musica è il linguaggio principale dell’essere umano e di ogni forma vivente. I bambini cantano ancora prima di aver imparato a parlare e il mondo è un’intera orchestra dall’alba fino al tramonto.
Non c’è attimo in cui la natura rimanga in silenzio. Aveva ragione Walt Whitman nell’affermare che la “ musica, niente di più spirituale, niente di più sensuale.
Un dio, ma del tutto umano, procede, prevale, detiene il posto più alto; risponde ai nostri desideri più alti e a domande a cui nient’altro potrebbe provvedere” oppure Friedrich Wilhelm Nietzsche con la sua oramai famosissima citazione
tratta dal Crepuscolo degl’idoli; come si filosofa col martello : “ la vita senza la musica sarebbe un errore”.
E forse è proprio così. Perché la musica ha mosso sentimenti, rivoluzioni, è stata il mezzo con cui i ragazzi, di ogni generazione, hanno espresso il loro disappunto o la voglia di cambiare. Basti pensare agli anni sessanta, con i movimenti giovanili scoppiati negli stati Uniti:
studenti universitari si schieravano contro la guerra in Vietnam, a favore dei diritti civili e contro uno stile di vita imposto dall’alto.
Uguaglianza, democrazia e amore erano le parole chiave. Le contestazioni non si fermarono solo al coinvolgimento di forme d’arte, letterarie, filosofiche o morali. La musica ebbe la sua parte, con il rock’ n’roll e i nomi che si affiancarono ad esso: Rolling Stones, Beatles, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Elvis Presley e molti altri ancora. L’onda rivoluzionaria che investì il sessantotto e che si infranse poco dopo, riecheggia ancora oggi, in quelle canzoni che continuano ad appassionare milioni e milioni di persone.
Eppure alla soglia del 2020, i giovani continuano ad esprimere la propria identità tra note e parole, in maniera meno tangibile e virtuale, postando un video da youtube o mettendo like. Stessa propensione, ma con un impatto sociale ed umano, forse, totalmente diverso. Inevitabilmente possiamo dire che “la musica è cambiata” non solo nel modo come essa viene distribuita, ma anche nel modo in cui essa viene vissuta. E qui mi piacerebbe passare la parola a qualche giovane degli anni 2000. Ho chiesto a Claudia, studentessa di pianoforte presso il Conservatorio Braga di Teramo, cosa ne pensasse della musica “di questi tempi”.
Ecco la sua risposta :
«Parlando a livello generale, penso che la Musica non sia mai cambiata o meglio il suo valore non sia mai cambiato ;a trasformarsi è il modo di farla e il motivo per cui viene concepita. Se devo basarmi su questo penso che si stia perdendo la concezione di Musica come Arte pura, facendola invece divenire mezzo ad uso consumistico ( ovviamente con le dovute e diverse eccezioni).
Comunque la musica non perde il suo valore di essere anche specchio della società: esprime messaggi e valori. Se viviamo in un periodo in cui sempre più questi messaggi, questi valori vengono meno, di conseguenza anche la Musica ne risulterà spoglia. Mi verrebbe così da affermare che la Musica di oggi è come un vulcano quasi dormiente che sbuffa di tanto in tanto; la sua energia però è sempre a disposizione, bisogna avere soltanto il coraggio e la consapevolezza di volerne usufruire.»
E come non essere d’accordo con le parole di Claudia. Soprattutto quando si parla della musica come mezzo ad uso consumistico.
Già dal 1637, con l’avvento del sistema impresariale a Venezia, l’Opera era diventata a pagamento e le stagioni erano ricche di spettacoli, per cui lo stesso compositore era costretto a badare ai numeri e non alla qualità del proprio lavoro.
Il fattore “ incassi” è una piaga con la quale il musicista di” tutti i tempi” deve ed ha dovuto fare i conti. Vendere è la parola d’ordine, e più si vende più sale la fama, il successo è assicurato, il guadagno alle stelle, le case discografiche in panciolle e tutto il resto è storia che si può leggere ovunque e su qualsiasi motore di ricerca.
Questo l’altro lato della medaglia, quello che purtroppo non può essere nascosto. Potremo aprire un intero capitolo su una questione simile, ma non è questa ora la sede. Ciò che rimane è il senso ultimo della musica stessa, la condivisione e il dialogo che c’è dentro la sua essenza. Come si può descrivere qualcosa di così indefinito con semplici parole? Riuscite ad immaginare l’accordo di Tristano nella vita reale? Oppure riuscite a dare un volto alle note di Carlos Santana? Mi capita di fermarmi e pensarci. Forse è capitato anche a voi, o forse no, ma credetemi, non c’è nulla che regga la magia del momento esatto in cui comincia la musica e si fa spazio ovunque. E’ la distanza esatta tra noi e il mondo. E’ ciò che ci prende e non ci lascia andare.
E’ un aratro agganciato ad una stella che ci lascia dentro un solco.