Nel 1943 Palermo fu duramente colpita dai bombardamenti inglesi ed americani . Il centro storico fu quasi cancellato e ben 40 mila cittadini rimasero senza casa. A questi si aggiunsero, tra il 1946 e il 1955, ben 35.000 persone che si trasferirono in città da tutta l’isola. Palermo era diventata la “capitale” della nuova “Regione a statuto speciale” e attirava tanta gente da tutta la regione.
In parole povere, a Palermo c’era il lavoro ( soprattutto negli uffici regionali) ma mancavano le case.
Tutto questo comportò una grande richiesta di alloggi che il Comune non riusciva a soddisfare. Sono gli anni in cui molte famiglie furono costrette alla coabitazione o a pagare affitti consistenti. Era chiaramente una situazione esplosiva.
Alcuni giovani di “belle speranze” capirono che c’era la possibilità di fare affari d’oro e … si diedero alla politica. L’astro nascente della Dc, era Giovanni Gioia, nipote di un grande industriale palermitano, Filippo Pecoraino. La rapida ascesa di Gioia ai vertici del partito era iniziata negli anni Cinquanta; in quel periodo la D.C. aveva conquistato una forte egemonia di potere nell’isola, mediante una politica di aperto sostegno all’imprenditoria locale. La Dc fu promotrice di una politica di sostegno statale all’economia (spesso si trattava di interventi assistenziali e clientelari) e soprattutto di una frenetica e disorganica espansione edilizia.
Tali interventi furono alla base dell’ascesa di una nuova classe dirigente di giovani, ambiziosi e con poco scrupoli, che soppiantarono i vecchi notabili, spesso con metodi discutibili. Tra questi “giovani rampanti” ricordiamo Salvo Lima e Vito Ciancimino ,di cui Gioia fu per molto tempo loro leader indiscusso.
Gioia ricoprì subito incarichi di prestigio divenendo nel 1953 ,a soli ventotto anni, segretario provinciale Dc di Palermo, carica che mantenne sino al 1958. Dopo essere stato eletto consigliere nazionale del partito (1956) divenne capo della segreteria politica della direzione centrale (1956-1959). Eletto deputato al Parlamento nazionale entrò a far parte della commissione Bilancio e Partecipazioni statali.
Nel 1956 Salvo Lima e Vito Ciancimino, vennero eletti consiglieri comunali a Palermo: Lima divenne assessore ai lavori pubblici e mantenne la carica fino al luglio 1959, quando venne nominato sindaco di Palermo, e al suo posto di assessore gli subentrò Vito Ciancimino.
Durante il periodo degli assessorati di Lima e Ciancimino, vennero approvate dal Consiglio comunale due versioni provvisorie del nuovo Piano regolatore della città, uno nel 1956 l’altro nel 1959, a cui però furono apportati centinaia di emendamenti e varianti, in accoglimento di istanze di privati cittadini (molti dei quali in realtà erano prestanome di politici e mafiosi).
E grazie a questi emendamenti e a queste varianti che iniziò il Sacco edilizio di Palermo. In particolare durante il periodo in cui Ciancimino fu assessore ai lavori pubblici, delle 4.000 licenze edilizie rilasciate, 1600 figurarono intestate a tre prestanome, uno dei quali era un fabbro e un altro un venditore di carbone, che vivevano in modeste condizioni economiche e non avevano nulla a che fare con l’edilizia ma figuravano in un albo di persone autorizzate a costruire. Si racconta che oltre 3.000 di queste concessioni furono firmate nell’arco di un sola notte.
Tutto ciò porto a un profondo cambiamento dell’assetto urbanistico della città. Grazie a tali varianti apportate al piano regolatore “ provvisorio” si cominciarono a distruggere palazzi e ville in stile liberty e si costruirono squallidi e anonimi palazzoni nell’area di Viale della Libertà- Notarbartolo, e in Contrada Olivuzza. Inoltre alcune borgate vennero stravolte e inglobate da un’espansione edilizia dissennata e abnorme.
Sorsero i “quartieri residenziali” per la nuova borghesia palermitana. Tra l’altro questi “costruttori“ non avevano problemi a trovare finanziamenti bancari visto che prestiti, senza garanzia, venivano concessi dalla Cassa di Risparmio, presieduta dal suocero dell’onorevole Giovanni Gioia
Il motto della Democrazia Cristiana a quel tempo era “Palermo è bella, facciamola più bella“. Proprio nello “spirito” di tale motto il Comune concesse migliaia di licenze edilizie spesso a nullatenenti.
Ma anche i lavori pubblici attirarono le attenzione di questi “amministratori “ una sola società riuscì ad accaparrarsi, in quel periodo, tutti gli appalti pubblici, la Va.Li.Gio, acronimo dei nomi di Francesco Vassallo ( un carrettiere che improvvisamente era diventò il primo costruttore di Palermo) di Salvo Lima e Giovanni Gioia.
Ormai la situazione era molto preoccupante e stava sfuggendo dalle mani ,anche degli stessi responsabili di tale situazione, e i morti “ammazzati” cominciarono a insanguinare le strade della città.
Con il varo del primo governo di centro-sinistra, presieduto dall’on. Giueppe D’Angelo, l’allarme scatenata dalla cosi detta “ Prima guerra di mafia” portò l’amministrazione regionale a mettere in cantiere una serie di iniziative e proposte per tentare di arginare il degrado politico e istituzionale di Palermo e della Regione.
Da un lato provò a ridimensionare l’influenza delle esattorie dei cugini Ignazio e Antonino Salvo, dall’altro dispose, con decreto del 15 novembre 1963, un’ispezione straordinaria presso gli uffici municipali del capoluogo, istituendo una commissione, presieduta dal prefetto Tommaso Bevivino , con lo scopo di accertare il rispetto delle prescrizioni previste dal Piano Regolatore Regionale.
Il Rapporto evidenziò molte delle irregolarità e delle violazioni poi fatte proprie dalla relazione della Commissione Parlamentare Antimafia. La più eclatante riguardava la composizione della Commissione comunale per l’edilizia, che, “stranamente” era rimasta la medesima dal giorno del suo insediamento, invece di cambiare dopo un triennio come previsto dalla legge.
Quali furono le zone più colpite dal “sacco” edilizio?
Le zone furono soprattutto due: innanzitutto Viale Libertà- Notarbartolo, dove furono abbattute numerosissime ville liberty costruite tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900. Viale della Libertà cambio volto:il lungo boulevard cittadino, definito da Wagner gli ‘Champs-Elysees di Sicilia’, si trasformarono in anonimo viale alberato. Uno dei casi più eclatanti fu quello della Villa Deliella, considerata una delle opere architettoniche più significative del liberty palermitano, stile che aveva delineato e influenzato il volto dell’intera città. Racconta la leggenda che fu abbattuta nella notte del 29 dicembre 1959 (nella realtà i lavori iniziarono il 28 novembre e terminarono il 30, senza che nessuno si “accorgesse” di nulla).
La seconda area più colpita fu quella della c.d. Conca D’oro: centinaia di ettari di frutteti ed agrumeti vennero spazzati via dalla speculazione edilizia: dal 1946 fino alla fine degli anni ’60, circa 3000 ettari di terreni agricoli lasciarono spazio a palazzoni “residenziali” brutti e senza anima e a squallidi quartieri “popolari”, veri e propri ghetti privi dei servizi essenziali ,dove poter trasferire i cittadini che avevano perso la casa durante i bombardamenti del 1943 o coloro a cui veniva espropriata la casa .
La fine del “sacco” edilizio
Nel 1962 venne approvato finalmente il Piano regolatore definitivo (arrivato dopo quasi ottanta anni dal precedente Piano Giarrusso del 1895) ma, gli effetti nefasti di quella stagione politica continuarono per diversi anni. Infatti l’assessorato ai lavori pubblici di Ciancimino ,nei giorni precedenti all’entrata in vigore del nuovo piano regolatore, aveva già concesso un gran numero di licenze edilizie sulla base della versione provvisoria del Piano del 1959.
Sono bastati meno di 8 anni per trasformare in peggio Palermo. Un gruppo di “giovani rampanti “riuscì a mettere in ginocchio un intera città , modificandone profondamente anche la cultura e l’anima. Tutto questo in modo “democratico” e nel rispetto delle leggi, cioè con il voto e il consenso della maggioranza dei bravi cittadini , e con l’occhio benevolo o distratto di una certa magistratura. Erano altri tempi, dirà qualcuno: forse.
Durante un audizione al Csm ( Consiglio superiore della magistratura), nel 1991, il giudice Giovanni Falcone, disse di sospettare che i tempi di Ciancimino non erano ancora passati . Forse per questo i verbali dell’audizione del Giudice Falcone furono “secretati”, cioè tenuti ben nascosti fino ai giorni nostri.
Nel raccontare tutta questa vicenda e nel ripercorrere questo periodo buio della città di Palermo è difficile non provare un sentimento di sdegno e di impotenza. In quegli anni abbiamo assistito alla distruzione sistematica di un patrimonio artistico irripetibile, ma soprattutto al tentativo di violentare e snaturare l’anima e lo spirito di una città. E genera ancora più sdegno la visione odierna di una realtà dove il passato sembra non contare e dove il rispetto della memoria si affievolisce giorno dopo giorno e lentamente scomparire. Forse dobbiamo diffidare di tutti coloro che, come nel passato, ci dicono “Palermo è bella, facciamola più bella“, sicuramente non vogliono bene a questa sfortunata città, una città già martoriata da guerre e terremoti. Oggi Avezzano è bella, nonostante sia una città martoriata da guerre e terremoti, non serve farla più bella, serve solo mantenerla bella com’è.
Avezzano la città bella.