AVEZZANO – Il professor Sandro Valletta, docente universitario in Storia delle Migrazioni, ci ha inviato il seguente messaggio a presentazione ad una sua intervista, di qualche anno fa, relativa alla vicenda legate alla Strage di Capaci e alla morte del Giudice Giovanni Falcone.
«In riferimento alla strage di Capaci, dove morirono il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli Uomini della scorta. Solo uno riuscì a salvarsi da quell’immane tragedia, che ha cambiato il corso della storia del nostro paese. Ma tantissimi non sanno della Sua vicenda… nelle celebrazioni, di questi giorni, intrise di retorica, il Suo nome compare a singhiozzo, e «in venti anni – come afferma mestamente – non ho mai ricevuto un invito a presenziare. Quest’anno mi è arrivato per la prima volta dal ministro Profumo», ma non può dimenticare quando «al primo anniversario il servizio d’ordine mi allontanò perché ero sprovvisto di invito, che nessuno si è preoccupato di farmi pervenire». In merito, catturando la vostra Cortese Attenzione, sono a proporvi un mio articolo/intervista, a quest’Uomo, pubblicato su diverse testate nazionali, in occasione del tredicesimo anniversario del tragico evento. Vi consiglio di dedicarci qualche minuto per rendervi conto come lo Stato ha trattato un suo degno servitore e gli ultimi istanti di vita dell’amato giudice, raccontati dalla sua voce. Sandro Valletta».
– Di seguito l’articolo del professor Valletta.
di Sandro Valletta
I segni di quel tragico giorno li porta addosso. Ha una cicatrice,evidente,sulla fronte. E’ l’unico superstite della strage del 23 maggio ma dice di essere “dimenticato” da tutti. E’ Giuseppe COSTANZA, 58 anni, (foto) per otto al fianco di Giovanni Falcone e, con lui, anche quel sabato pomeriggio.
Quando gli chiedono di parlare di Falcone gli occhi si fanno lucidi: “Per otto anni -dice- ho rischiato la vita perché il dottor Falcone era una persona che meritava”. Costanza però è arrabbiato, con le istituzioni che lo hanno abbandonato e che si sono dimenticate di lui. «Se avessi saputo che sarebbe finita così avrei preferito morire con i miei colleghi, almeno sarei diventato un eroe, adesso invece non sono nessuno. Non sono mai stato invitato a nessuna manifestazione ufficiale per ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta; Per me le porte sono sempre state chiuse». Giuseppe Costanza passa sei ore al giorno nel suo ufficio, nello scantinato del palazzo di giustizia di Palermo, arriva alle otto e se ne va alle quattordici. Passa il tempo chiuso in una stanza di due metri quadrati, alla parete la foto del giudice ucciso. «In questi anni – dice amareggiato – ci sono state tantissime passerelle di politici, magistrati, uomini delle istituzioni. Tutti dicevano di essere amici di Falcone. Io non sono stato mai ritenuto all’altezza. Abbiamo pagato un tributo di sangue, ma quello degli autisti forse non è come quello degli altri». Punta il dito anche contro le Fondazioni nate dopo la morte del giudice, guidate da familiari ed amici. «Anche loro – dice – mi hanno dimenticato».
Costanza poi mette da parte la rabbia e racconta gli ultimi istanti prima della strage. «Siamo arrivati in aeroporto molto puntuali. La moglie di Falcone si è accomodata davanti ed il giudice mi ha chiesto di guidare. Io mi sono seduto dietro. Abbiamo parlato un po’ di quello che era successo a Palermo e poi ho chiesto a Falcone di ridarmi le chiavi che si trovavano appese nel quadro una volta arrivati a destinazione. Lui invece le sfilò mentre guidava». Un gesto strano, «la macchina – racconta ancora Costanza – ha rallentato e io ho detto al giudice di reinserire subito le chiavi, altrimenti ci saremmo andati ad ammazzare. Lui le ha rimesse subito a posto, poi non ricordo più nulla. Mi sono risvegliato in ospedale».
Dopo il ricordo di quel tragico sabato pomeriggio, Giuseppe Costanza torna a parlare di come è stato trattato in tutto questo tempo. «Quando una persona vive esperienze del genere – dice -, dopo aver dato un contributo di sangue, non va trattato a pesci in faccia. È giusta la solidarietà nei confronti dei familiari delle vittime, è sacrosanta, ma è necessario ricordare anche chi, come me, è rimasto vivo».