MAGLIANO DEI MARSI – La Domenica delle Palme ci apre la strada alla settimana santa, che per i credenti e non solo, celebra il ricordo della Passione, morte e Resurrezione di Gesù Cristo. E proprio intraprendendo questo sacro sentiero vi vorremmo raccontare un lato delle ultime vicende della vita di Cristo, diverse dalle fonti evangeliche, basandoci sugli scritti apocrifi. Ad accompagnarci in questo viaggio ci saranno due personaggi: Ponzio Pilato e sua moglie Claudia Procula.
Immaginiamoci di essere nel pretorio con Pilato nei giorni che seguirono il martirio di Cristo: lui, autorità dell’impero romano, deve, in qualche modo descrivere ciò che è accaduto. Una delle prime cose che compie è uno scambio epistolare con re Erode, nel quale possiamo leggere la descrizione degli eventi della passione. Descrizione che è molto simile alla narrazione dei vangeli, ad eccezione di due figure: sua moglie Procula ed il legionario San Longino colui che con la lancia trafisse il costato di Cristo.
«Non fu una buona azione quella che, per tua istigazione, feci allorché gli Ebrei mi condussero Gesù, detto Cristo. Dopo essere stato crocifisso, nel terzo giorno risuscitò dai morti, come mi è stato annunziato anche dal centurione. Io stesso decisi di mandare una spedizione in Galilea: fu visto nel suo proprio corpo e nella sua identica fattezza. Con la stessa voce e con gli stessi insegnamenti si manifestò a più di cinquecento uomini timorati di Dio. E costoro diffondono questa testimonianza senza alcuna paura; annunziano anzi con sempre maggiore coraggio la risurrezione e un regno eterno, a tal punto che sembra che i cieli e la terra si rallegrino per i suoi santi insegnamenti».
In questo testo, estratto dalla prima parte del Ciclo di Pilato, leggiamo una grande accusa che il procuratore romano rivolge direttamente a re Erode. Il prosieguo della prima lettera è di una commozione grandissima. Pilato sente il peso del suo errore e scrive: «All’udire tali cose, tanto mia moglie Procula, quanto il fedele centurione Longino che aveva fatto la guardia durante la passione di Gesù, nonché i soldati che li avevano accompagnati, elevando grida e pieni di tristezza, vennero ad annunziarmi queste cose. Io, a mia volta, le annunziai ai miei grandi commissari e ai miei compagni di milizia; ed essi, pieni di tristezza, elevarono grida analizzando quotidianamente il male che era stato compiuto verso di lui, mentre io mi univo al dolore di mia moglie dormendo digiuno sulla nuda terra».
La risposta di Erode è assai diversa. Nel resocontare ciò che per lui è stata la passione del Nazzareno racconta tutte le sventure nella quale la sua famiglia è incappata dopo la morte di Gesù. Racconta della morte della figlia, della perdita dell’occhio della moglie ma alla fine notiamo una grande paura del re. Egli scrive: «Ma temo assai più l’altra sentenza per la quale il Dio vivo mi applicherà criteri di giustizia doppiamente severi. Ce ne andiamo fugacemente scomparendo da questa vita dopo appena pochi anni dalla nascita: e qui troviamo il giudizio eterno e la retribuzione delle nostre azioni». Anche Erode ha paura del giudizio di Dio.
Molto più solenni sono gli scambi epistolari tra Pilato e Tiberio imperatore. Il governatore Pilato sente la necessità morale di raccontare al suo imperatore ciò che è successo. Pilato, nel descrivere gli eventi miracolosi avvenuti durante la passione, compie un gesto di debolezza: ovvero, manifesta tutto il suo senso di colpa, che come vedremo più tardi, sarà la causa della sua fine. All’imperatore scrisse: «Se io non avessi temuto una sedizione del popolo, già incandescente, forse quell’uomo sarebbe ancora vivo tra noi. Si può, forse, attribuire a una mia mancanza di fedeltà alla tua dignità e all’avere io seguito il mio capriccio invece di resistere con tutte le mie forze a che non fosse sparso questo sangue giusto immune da ogni accusa e vittima della malizia umana; ma, come dicono le Scritture, doveva essere venduto e soffrire la passione per la loro stessa rovina». La risposta di Tiberio è lapidaria e concreta: dall’isola di Capri, dove viveva l’imperatore, gli rispose che era lui il colpevole della morte di Cristo. Possiamo leggere infatti: «Avendo tu osato condannare a morte Gesù Nazareno in un modo violento e totalmente ingiusto ed ancor prima della sentenza condannatoria avendolo tu consegnato nelle mani degli insaziabili e furiosi Ebrei; non avendo tu avuto compassione di questo giusto, gli desti anzi una canna e l’hai sottoposto ad una orribile sentenza e al tormento della flagellazione e, senza alcuna colpa da parte sua, l’hai consegnato al supplizio della crocifissione, non senza aver ricevuto dei regali per la sua morte; avendo tu manifestato sì della compassione, con le parole, ma con il cuore l’hai affiancato ad un Ebreo senza legge: per tutto questo dunque, tu stesso sarai condotto in mia presenza carico di catene per presentare le tue scuse e rendere ragione della vita che tu senza motivo alcuno hai consegnato alla morte. Che crudeltà e che vergogna!».
Dopo gli eventi della passione e morte di Cristo, Ponzio Pilato venne richiamato a Roma: nel ciclo di Pilato possiamo leggere la sua fine. «Allora l’imperatore ordinò che (Pilato) fosse chiuso in prigione fino a quando il consiglio dei saggi deliberasse su ciò che bisognava fargli. Suicidio di Pilato. Dopo pochi giorni, fu emessa, contro Pilato, la sentenza che lo condannava ad una morte estremamente ignominiosa. Udito ciò, Pilato si uccise con il proprio coltellino: con questa morte pose fine alla sua vita. Cesare, venuto a conoscenza della morte di Pilato, disse: È morto proprio di morte estremamente ignominiosa colui al quale non perdonò la propria mano. Fu dunque legato ad un enorme peso e immerso nel fiume Tevere».
Diversamente da Pilato, sua moglie Claudia Procula ha sempre creduto nell’innocenza di Cristo nel testo in questione parecchie volte c’è questa sensazione. Nella prima lettera del Ciclo di Pilato possiamo leggere un probabile incontro con il Cristo dopo la resurrezione che gli dice: “ E tu, donna, non hai forse mandato un messaggio a tuo marito a mio riguardo?… il testamento di Dio disposto dal Padre”.
Infine, la figura di Claudia Procula – venerata come santa insieme al marito Pilato dalla chiesa copta etiope – la possiamo riscontrare anche nei saluti che l’apostolo Paolo scrivere nella seconda lettera a Timoteo nel capitolo 4 versetto 19: «Ti salutano Eubùlo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli».