AVEZZANO – In un mondo nel quale la cosiddetta “qualità”, stabilita mediante apposite normative quali le cosiddette ISO 9000 (nelle varie “vision” aggiornate), sembra costituire un presupposto irrinunciabile per lo sviluppo delle attività, in merito sia a beni che a servizi, risulta necessario un approfondimento su un aspetto che è quello della refezione nelle strutture sanitarie in particolar modo ospedaliere. Accanto alla questione dell’assicurazione degli aspetti critici della sicurezza sanitaria e quindi dell’HACCP, giunge la necessità di assicurare la qualità del prodotto in quanto nel servizio sanitario, accanto alla qualità del servizio medico, ovvero la prestazione sanitaria vera e propria, in misura accessoria ma non trascurabile si pone la questione della refezione e somministrazione dei pasti che concorre comunque al raggiungimento del risultato terapeutico atteso.
Chiaramente, anche in questo aspetto domina la scena il problema dei costi che gravano sul servizio sanitario ospedaliero, ma mantenimento della spesa entro limiti accettabili non significa riduzione della qualità di quanto somministrato. Chiaramente, la refezione ospedaliera non può essere inquadrata come se si dovesse avere un servizio di ristorazione codificato secondo il sistema delle stelle, ma neanche è possibile che i pasti somministrati siano al minimo della qualità ammissibile.
La degenza ospedaliera e le caratteristiche ambientali della stessa sono fondamentali al raggiungimento dello scopo terapeutico, nel senso che svolgono una funzione psicologica accessoria, oltre che concorrere ai risultati della applicazione terapeutica effettuata. E veniamo alla questione in termini semplici: un tipico pasto ospedaliero è composto da un primo piatto (minestra brodosa o pasta asciutta), un secondo (carne o altro), un contorno (patate, piselli o altro) ed una frutta (cruda o cotta, in genere mele e pere e talora arance o assimilabili), con caratteristiche aggiuntive relative allo stato e caratteristiche del paziente (se diabetico, se celiaco o altro). Sulla qualità del prodotto finale incidono la qualità del prodotto base e la qualità del processo di produzione del pasto. È stata effettuata una osservazione sui pasti dispensati ed è emerso, anche al di là del giudizio dei degenti, che a parte la prima pietanza dispensata, la qualità sia come prodotto che come processo di produzione sia molto bassa vista la percezione che ne hanno i pazienti, ultimi destinatari secondo le Norme della asseverazione della qualità. Prodotto dotato di scarsa appetibilità, sovente di caratteristiche organolettiche assai basse al punto che anche una semplice mela si presenta come inadeguata (giudizi forniti: acerba, dura, insapore…) oppure per la carne (giudizi hamburger quasi crudo e mal condito).
Ovviamente il servizio di refezione ha i suoi costi, è in appalto, ma la qualità dello stesso viene controllata, non solo in termini cartacei, ma anche in termini di qualità dei contenuti della somministrazione? In fondo un servizio inadeguato costa assai più di uno adeguato… La domanda viene girata a chi di dovere ed ai vari livelli, mentre i pazienti e i degenti attendono e soffrono anche sul peso della qualità di ciò che vien loro somministrato…
Nella immagine un pasto del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (Immagine di repertorio)