OVINDOLI – È un’opinione comune quella di considerare la storia medievale come una branca della storia al limite della digeribilità umana e accademica. Certo, il Medioevo è un periodo estremamente complesso ma non per questo io rinuncerò di seguito a trattare l’argomento cercando di renderlo quanto più possibile scorrevole e accessibile.
C’è subito da ammettere, con pochi dubbi, che Ovindoli durante il Medioevo ha vissuto una fase di svolta cruciale. Ma prima di passare alla breve trattazione storica, ripercorrerei sinteticamente la questione etimologica del nome Ovindoli. E’ proprio questo un tema assai discusso da linguisti e storici dell’epoca.
Ovindoli deriverebbe secondo una prima versione, dal latino Ovis (donde, ovino in Ita.) per l’attività pastorale che gli antichi marsi e forse anche vestini, svolgevano sulle nostre terre. Una seconda versione, farebbe derivare il nome Ovindoli da Ovatio (donde, Ovazione in Ita.) come onorificenza ai guerrieri Marsi impegnati in continue lotte contro le pressioni della nascente Repubblica di Roma e contro l’espansionismo di alcuni sanguinari sanniti. E’ a proposito di questa seconda versione che ritroviamo una preziosa testimonianza letteraria di Servio, illustre grammatico romano e commentatore di Virgilio.
Scrive Servio: “Nom ovans pedibus incedebat, vel aque vehebatur, non currto; mirto coronabatur, non lauro; ovem non taurumimmolabat, unde ipsa OVATIO est dicta”. “Infatti avanzava a piedi trionfante, o allo stesso modo era trasportato non con il carro trionfale; era incoronato con il mirto non con l’alloro; immolava una pecora, non un toro da cui, la stessa è detta ovazione.” (traduzione del redattore).
Una terza e ultima versione è quella che fa derivare il nome Ovindoli da – Pasqua ob hinnolos – ossia, – pascoli per muleni -. Come si può notare le tre versioni pur essendo distinte sono in qualche modo accomunate dalle pratiche pastorali e belliche, che sicuramente riguardarono Ovindoli durante il periodo arcaico.
Passiamo ora a fare il breve excursus storico di cui si parlava poc’anzi. Come detto, Ovindoli vive anni molto concitati durante il basso Medioevo soprattutto perché le sue sorti furono legate a quelle della contea di Celano.
Tralasciamo, per una questione di complessità il periodo delle guerre sannitiche (Bellum Marsicum). Facendo un lungo salto nel tempo si scopre che la storia di Ovindoli è legata alla testimonianza di un Papa, Clemente III -Roma 1124/1191- il quale in una Bolla Papale (presumo la Bolla di Pereto, l’originale andata perduta) adopera la seguente espressione: “Sancti Angeli in Arano” per indicare la presenza di un Chiesa nel Villaggio di Arano.
Bisogna quindi immaginarsi i primi abitanti insediati in Valle D’Arano e più precisamente in quella insenatura chiamata oggi “recchietta”.
Sempre durante il Medioevo ma in età più tarda e cioè durante l’età vassalla (o feudalesimo) le vicende di Ovindoli sono legate strettamente a quelle della già citata Contea di Celano. Sono anni questi fondamentali poiché le sorti di Celano e dei conti Berardi si intrecciano alla volontà politica e bellica del grande Re Federico II di Svevia, imperatore di Germania futuro Re di Gerusalemme e già Re di Sicilia. La distruzione di Celano da parte delle truppe di Federico II fu un evento eclatante anche per il nostro paese che ricordo essere un alleato fedele dei Conti Berardi. Quasi sicuramente le truppe sveve, dopo aver raso al suolo Celano salirono a distruggere anche Ovindoli, luogo in cui i Berardi trovarono presumibilmente riparo all’arrivo delle truppe del Re.
Andando ancora un po’ avanti nel tempo incontriamo un evento e una data centralissima per le sorti della Europa unita. Nel tragico epilogo svevo a Tagliacozzo, un aneddoto importante riguarderà Ovindoli.
Siamo nell’anno 1268 e l’intero Sud Italia vive periodi di tremendi tormenti politici. I papi, e in questo caso Clemente IV, erano divenuti con gli Accordi di Melfi stipulati coi Normanni e attivi dal 1059 dopo la -Battaglia di Civitate sul Fortore del 1053- Signori del Regno di Sicilia; Regno che si riconosceva ufficialmente suo Vassallo. Ciò, in poche parole, significa che il papa aveva diritto all’investitura (nomina) dei Re di Sicilia.
Sarà lo stesso Clemente IV a commettere un errore politico che implicherà anni di buio per l’intero Sud; Il Papa sta per investire il Conte Carlo d’Angiò, dell’intero Regno. Lo -Stupor Mundi- così definito Federico II, era morto già da un po’ e i suoi successori erano ormai in aperto conflitto col Papato di Roma. I motivi del conflitto furono molteplici e complessi, ne possono ricordare qui soltanto due, legati alle scelte compiute dallo stesso Federico: per primo gli accordi di San Germano del 1230; Secondo l’incoronazione a Gerusalemme durante la Crociata voluta da Gregorio IX.
Ci troviamo quindi a Tagliacozzo e corre l’anno 1268. Le truppe sono schierate e tutto lascia intendere una capitolazione Sveva. Carlo I sta per vincere la battaglia e giorno dopo giorno vede le porte del Regno spalancarsi sempre più. Ebbene, saranno parte di quelle truppe di Carlo I appena arrivate dalla Provenza a far sosta per una notte ad Ovindoli ospitate nel Palazzo di Re Zappone, palazzo di proprietà dei conti Berardi di Celano. Da qui non è difficile dedurre l’appoggio alla politica angioina del nostro Paese, pervaso ormai da un incontrollato odio anti-svevo.
La Battaglia di Tagliacozzo ebbe la sorte che tutti conosciamo, significò la fine della dinastia Sveva e l’inizio dell’illusione Francese… che dopo poco addirittura si rivelò un disastro sia per il papato costretto a chiamare gli Aragonesi di Spagna per rivendicare il trono agli angioini, sia per la popolazione isolana che da qui a pochi anni darà inizio proprio al fianco di Pietro III d’Aragona la rivolta del Vespero, rivolta che si placherà soltanto con la Pace di Caltabellotta del 1302. Tale accordo tra Carlo II D’Angiò e Federico III D’Aragona sancisce ufficialmente la spaccatura del Sud, con il regno di Sicilia (che poi diventerà Regno di Napoli) affidato agli Angioini, e l’ex regno di Sicilia (che diventerà Regno di Trinciara) affidato agli aragonesi.
Così ricorda Dante Alighieri la Battaglia di Tagliacozzo: “E là da Tagliacozzo dove senz’arme vinse il vecchio Alardo.”
Ci piacerebbe a questo punto salutarvi, parafrasando la splendida chiosa del Manzoni nei suoi Promessi Sposi: “Questa conclusione c’è parsa così giusta che abbiamo pensato di metterla qui , come sugo di tutta la storia. La quale se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto a posta”.