AVEZZANO – Il mattino nel quale la Città non si svegliò distrusse una idea di Città che, tuttavia, è sopravvissuta in qualche modo, con simulacri di strade antiche alle quali se ne sovrappongono di nuove e di qualche edificio residuale che appare, sia pur trasformato o ricostruito, qua e là.
Qualche tempo dopo, i superstiti, scossa via dagli abiti la polvere delle rovine cominciarono l’opera di ricostruzione edificando, secondo l’indirizzo sovrano, il primo nucleo consistente nell’edificio dell’attuale biblioteca “N. Irti”, all’epoca asilo “Montessori” perché fosse assicurato il luogo e l’edificio per le future generazioni.
Fu un segno ed un gesto di speranza!
Verranno poi gli edifici di Via Salandra, l’attuale Via Camillo Corradini, sede liceale e quello che diverrà il Tribunale. Di poco antecedente dové essere l’edificio Comunale, sorto in vicinanza delle rovine delle antiche mura della Città e poi vennero i nuovi edifici di Via Annamaria Torlonia e via dicendo, secondo il Piano ideato dal tecnico Ingegner Bultrini.
Come ben giudicò Maurizia Mastroddi, la Nuova Avezzano, la Città Rinata, Ricostruita dal quasi nulla delle macerie fu riedificata mantenendo alcuni cardini della Vecchia, della Città che da quel momento divenne la “Città Invisibile”, perché nessuno sembra ricordarla, nessuno ne scorge le sopravvivenze, le emergenze dall’attualità che le è finita sovrapposta.
Lo stile Liberty la contraddistingue con apparizioni a volta imponenti, talora più contenute o appena accennate, ma spesso di solida bellezza ed eleganza tipicamente aristocratica del bel tempo andato, ovvero solenne ma contenuta al tempo stesso, quasi timidamente celata dietro la coltre arborea degli alti alberi dei suoi viali.
Città Invisibile perché i suoi distratti cittadini son usi a tenere gli occhi bassi, persi nei sogni della rete alla quale accedono da formidabili stazioni smartphone.
Città invisibile perché sembra sospesa fra due diverse dimensioni: passato e presente, con un futuro dubbio…
Città invisibile di distratti abitanti che temono di alzar la testa altrimenti vedrebbero, spaventati, che la loro Città è vulnerata ogni giorno, erosa nel suo potere territoriale, nel suo ruolo civico e sociale, vilipesa nelle sue aspirazioni.
Ma d’altra parte della Antica Città cosa è usanza dire che sia rimasto?
Un Castello in parte ricostruito, un elemento di facciata della Sua Antica Chiesa Principale e le fondamenta di edifici che le stavano vicini o della sua cripta, una casa singola che si dice sia stata la sola rimasta in piedi, dimenticando i risultati che emergono dalla analisi della aerofoto del dirigibile della Regia Marina che la sorvolò. Ci sono piccole altre vestigia qua e là e la certezza che qualche abitazione, abusiva prima del sisma, sia stata ricostruita con il medesimo peccato originale.
Dei tanti, delle molte famiglie sopravvivono pochi cognomi.
Chi credé nella Nuova Avezzano?
Paradossalmente due personaggi opposti per carattere e personalità: Sua Eccellenza Monsignor Pio Marcello Bagnoli, vescovo dei Marsi, e Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia. Il Primo volle la nuova sede episcopale ad Avezzano e il secondo, invece, intuì che il primo edificio della ricostruzione dovesse essere dedicato alle future generazioni.
Poi credé in Avezzano la persona che si diede per nome “L’Avezzanese”, ovvero il Prof. Giovanni Pagani che, di Avezzano, nella sua “Avezzano e la Sua Storia”, pubblicato per i tipi della tipografia dell’Istituto Don Orione intorno al 1968, profetizzò per la Sua Città “…un luminoso avvenire…” che, tuttavia, tarda a venire!
Forse fu in quella sede del Consiglio Regionale, quando una Consigliera alla richiesta di voto contrario per la istituzione della Provincia della Marsica alzò la mano per prima poi imitata dagli altri. Forse mancò la giusta rappresentatività quando si ebbero quattro marsicani al Consiglio Regionale oppure fu dopo, chissà?
Ma forse un tradimento c’è stato ed è stato dei suoi cittadini che per una investitura peligna, aquilana o costiera, hanno gettato alle ortiche quel gesto simbolico dei Sindaci che al voto sfavorevole fecero volar via le fasce tricolori.
Monsignor Bagnoli, il Re e Giovanni Pagani hanno creduto in una speranza e le han anche dato corpo così come quei pochi sopravvissuti, quei “…Noi pochi, Noi felici…pochi” che ricostruirono sperando in un futuro per loro ma soprattutto per i loro figli.
Oggi mentre rintoccano strane campane, c’è da chiedersi se non ci stiamo inoltrando per il sentiero brullo che conduce chissà dove.
Invece dovremmo costruire la “Città della Speranza” perché di tutte le virtù è proprio la speranza che edifica e che ipotizza.
Il Palazzo Episcopale è silenzioso, la Piazza è muta, il popolo è distratto, tacciono le campane e nel tempio risuona l’Opera Rock…
“Nec contra Marsos, nec sine Marsis…”: “contra” omnia sunt, “sine” omnibus sunt…
Resta il vago simulacro del Professore, dell’Avezzanese a nutrire per la Sua Avezzano “la speranza” nel luminoso avvenire, per gli altri ci son solo le luminarie, belle anche quelle, forse bellissime, anzi meravigliose, ben progettate e impiantate, ma che dureranno solo fino alla sera del 7 gennaio, poi tutto tornerà nel silenzio della Piazza del Mercato.
“La Città della Speranza…” attende i suoi cittadini… Attende con la pazienza che viene dalla speranza!