di Americo Tangredi
MAGLIANO DE’ MARSI – Oggi è il 23 agosto e precisamente 750 anni fa si combatté una guerra che cambiò le sorti di tutto il sud Italia: la Battaglia dei Piani Palentini. Ciò che vi vogliamo raccontare in un questo articolo sono le vicende che hanno portato due super potenze dell’epoca – i ghibellini Svevi ed i guelfi d’Angiò – nel confrontarsi militarmente all’interno del territorio marsicano.
Protagonisti di questa guerra sono due figure molto diverse tra di loro: da una parte abbiamo il diciottenne Corradino di Svevia, figlio di Corrado e nipote del grande imperatore Federico II di Svevia. Dall’altra abbiamo Carlo I d’Angiò, molto più grande di Corradino, fratello di re Luigi IX di Francia che sarà poi proclamato santo dalla chiesa cattolica – molto bella è la chiesa a Roma a lui dedicata ed abbellita con le opere del Caravaggio-. Cosa portò questi due mondi così diversi alla guerra? Lo scontro iniziò quando il regno di Sicilia venne concesso, dal papa Clemente IV – al secolo il francese Guy La Gross, morto il 29 novembre del 1268- a Carlo I d’Angiò. Questo provocò le ire dei ghibellini siciliani che chiesero aiuto al giovanissimo Corradino.
Il giovane principe univa in sé sia le speranze di vedere una nuova unificazione del sud Italia e sia la grandezza di suo nonno, Federico II di Svevia. Nonostante la batosta presa dallo zio Manfredi nella battaglia di Benevento nel 1266, la stella di Corradino non si offuscò, anzi. Nel febbraio del 1268, la città di Lucera fedele alla casata degli Svevia, venne assediata da Carlo I per liberarla dalle poche sacche arabe presenti in città: quale banco di prova più adatto per il giovane principe. Da quel momento i due sovrani iniziarono un gioco alla rincorsa che si arrestò nei pressi dei Piani Palentini. L’esercito di Corradino poteva vantare ben 9.000 uomini mentre quello di Carlo I ben 6.000. Come si diceva nel titolo, questo fu un vero e proprio scontro europeo: arabi, spagnoli, tedeschi, romani e pisani per Corradino mentre francesi ed italiani per Carlo I.
L’Europa che si fermò sul fiume Salto. Le truppe di Corradino erano divise in tre armate: la prima comandata dallo stesso Corradino e da Federico I Baden-Baden, la seconda da Galvano De Lancia e la terza da Enrico De Lancia. Mentre le truppe di Carlo I vennero divise in due armate, l’una comandata dal famoso Alardo De Valèry e l’altra da Guglielmo Stendardo. L’inizio dello scontro vide una netta vittoria del giovane Corradino, favorita anche dalla superiorità tecnica del suo esercito. Ma il giovane principe fece male i suoi calcoli, nell’esercito angioino c’era Alardo de Valèry, che aveva combattuto le crociate e dai nemici saraceni aveva assorbito delle tattiche militari vincenti. Fece vestire con gli abiti da guerra del re Henry De Cousances, aiutante di campo di Carlo I che venne subito ucciso dalle truppe di Corradino. Questi, galvanizzati dalla notizia della morte dell’odiato francese, abbassarono la guardia; fu proprio questo errore a portare alla disfatta lo Svevia. Corradino ed il suo seguito fuggirono verso sud dove, a Torre Astura nei pressi di Nettuno, venne tradito da Giovanni Frangipane e consegnato a re Carlo.
Corradino venne decapitato a Napoli, presso piazza del Mercato, il 29 ottobre del 1268. Battaglia di Tagliacozzo oppure Battaglia dei Piani Palentini? Questo è un grande dilemma arricchito anche da una sorta di nostalgico campanilismo. Dante Alighieri, dall’altro della sua importanza nella cultura italiana e mondiale, citò giustamente Tagliacozzo indicando la contea più grande ma, non avendo preso parte alla battaglia, non conosceva il luogo reale dove si era svolto lo scontro. Comunque la si chiami, bisogna ricordarla questa battaglia sia perché il destino medievale del sud Italia è passato lungo le nostre terre -segnando la sorte della potenza sveva in Italia- ma sopratutto perché con la guerra non si sistema mai nulla.