di Roberta Placida
AVEZZANO – Una mattina d’estate. Passeggiamo per le strade di Avezzano. Siamo su via Rosselli. Sul marciapiede. Vediamo uno scivolo che dovrebbe abbattere la barriera architettonica causata dal dislivello tra marciapiede e strada: questo tipo di adattamento, per non costituire esso stesso barriera architettonica, deve permettere a un disabile in carrozzina, ma anche a una mamma con il passeggino, o a un anziano, o a chi è momentaneamente infortunato e cammina con ausilio di stampelle, di passare e muoversi agevolmente. Precise normative regolano il settore della fruibilità urbana e non dovremmo essere noi a ricordarlo a chi di dovere, ma siccome il condizionale, a differenza del nome, non ci condiziona né ci vincola, riportiamo la normativa in materia. Le foto saranno a corredo di quanto esposto e lasceremo a voi tutte le considerazioni, anche di etica sociale, che l’argomento si porta dietro.
Innanzitutto diamo la definizione di barriera architettonica secondo il DPR 503/1996, titolo 1, art. 2, comma 2: “Per barriere architettoniche si intendono:
a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro
che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o
temporanea;
b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi,
attrezzature o componenti”.
È un problema, quindi, che può riguardare tutti, indistintamente. Torniamo a via Rosselli e allo scivolo da noi incontrato all’inizio della nostra storia. Per accedere sullo scivolo c’è un gradino che non mantiene la stessa altezza in tutta la sua larghezza. Mettiamo pure che il malcapitato riesca a salire. Non potrebbe più muoversi, a meno di non fare marcia indietro, scendere dal marciapiede e tornare in strada. Sì, perché una volta sul marciapiede non ha più spazio di manovra: lo spazio davanti è troppo stretto, il dislivello a destra e a sinistra è troppo pronunciato e, ammettendo anche che la pendenza sia entro il 5% ammesso per legge, non potrebbe comunque girare; a sinistra, inoltre, ci sono anche un palo segnaletico e un’edera invadente il marciapiede ad ostruire il passaggio. È evidente che bisogna fare attenzione a non creare restringimenti e a non inserire elementi che intralcino l’utilizzo del passaggio pedonale e, qualora ci fossero, molto probabilmente, come nel nostro caso, da gran tempo, bisognerebbe provvedere alla rimozione, perché, come dice il succitato DPR, al comma 4 dello stesso articolo “Agli edifici e spazi pubblici esistenti, anche se non soggetti a recupero o riorganizzazione funzionale, devono essere apportati tutti quegli accorgimenti che possono migliorarne la fruibilità sulla base delle norme contenute nel presente regolamento”.
Su via Rossini, traversa di via Mazzini che va ad intersecare via Rosselli, si assiste ad un vero e proprio scempio. Il marciapiede sembra essere uscito da un bombardamento: tratti sconnessi, stretti e dissestati,quando si sa che la pavimentazione deve essere costruita in materiale antisdrucciolevole, e la superficie deve essere ben livellata, si alternano ad alti gradini dove prima era posizionato il cassonetto della immondizia. Tolto il cassonetto, forse sarebbe stato il caso di provvedere ad un intervento di adeguamento dello spazio.
Sappiamo perfettamente che non tutto è riconducibile alla attuale amministrazione e che il problema si trascina da tempo, ma, non crediamo sia prevista assoluzione (in senso morale: non siamo in tribunale, se non in quello della nostra coscienza) se, essendo nella posizione di fare, non si adempie ad un preciso obbligo morale e normativo, solo perché gli altri prima non l’hanno fatto. Una vera riqualificazione della città non può e non deve prescindere dall’attenzione alle categorie più deboli. I progetti faraonici, lasciamoli fare ai… faraoni, che, ormai, non stanno più nemmeno in Egitto.
Da parte nostra, continueremo a notare, annotare e a segnalare queste situazioni, ben sapendo che quella descritta non è l’unica, sperando anche nell’aiuto dei cittadini, perché crediamo che tutti dobbiamo sentirci responsabili del bene, quello vero, della nostra città.
Parafrasando il buon Faber possiamo dire “Anche se noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti”. Le eloquenti immagini che fotografano quanto sopra descritto: