di Roberta Placida
PESCINA – Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’opportunità di incontrare e di intervistare Romolo Tranquilli, nipote di Secondino Tranquilli, meglio conosciuto come Ignazio Silone, lo scrittore marsicano mai abbastanza letto e apprezzato. Romolo ci ha ricevuto nel suo studio, a Pescina, tra fotografie e ricordi, non solo di Silone, ma anche di un altro Tranquilli, lasciato dalla storia “illustre” nell’oblio: Romolo, Romoletto per chi gli voleva bene, fratello minore di Ignazio, arrestato per l’ipotetico coinvolgimento nell’attentato milanese al re del 12 aprile 1928. Fu poi prosciolto dall’accusa, ma tenuto in carcere perché… comunista. Quelli erano i tempi e chi andava contro il regime pagava con la vita. Morì in carcere e i suoi resti furono dispersi in una fossa comune non identificata. La storia lo ha consegnato all’oblio, al silenzio della memoria a cui spesso sono condannati i personaggi scomodi, quelli che vanno controcorrente, oppure gli ultimi, gli indifesi, quelli la cui vita non fa notizia, figuriamoci la morte. E Romolo, il nipote di Romoletto, ci ha voluto raccontare questa storia mostrandoci le foto del carteggio tra il padre Pomponio e lo zio mentre era in carcere; ci ha parlato della volontà del padre di svegliare dal sonno il ricordo del cugino, della sofferenza provata perché la comunità pescinese per prima aveva, in qualche modo, rinnegato un proprio figlio accusato di “aver sparato al re”: era di poca importanza il fatto che fosse stato ritenuto innocente: il paese lo aveva già condannato. Ci ha raccontato di come, per diversi anni, quando frequentava la casa di Silone, abbia interpretato il riserbo dello zio su tutto ciò che riguardava il fratello come disinteresse, volontà di rinnegare un fratello scomodo, fino poi a capire che, in realtà, l’intellettuale accusava se stesso per quella morte che non era riuscito ad evitare.
Romolo, in un linguaggio schietto e senza orpelli, ci ha raccontato anche quello che possiamo definire il DNA siloniano: amore per gli ultimi, difesa per gli oppressi, rifiuto di ogni conformismo, un cristianesimo vissuto come essenza e profonda esigenza di umanità e compassione senza, però, l’apparato della Chiesa. Tranquilli ha a cuore anche i giovani che vede vittime inconsapevoli del bombardamento mediatico che unifica e uniforma, annullandolo, il pensiero. Li invita a studiare, a prepararsi per poter incidere positivamente in questa società che ormai sembra aver perso completamente la bussola tanto da arrivare al paradosso che si urla per il crocifisso tolto da una parete, ma si inneggia quando si lasciano in mare i migranti o si è indifferenti davanti alla morte di un bimbo extracomunitario a cui non è stata data ospitalità.
Ringraziamo Romolo per la sua disponibilità a parlare e a raccontarci cose che hanno vissuto finora in un silenzio doloroso e per averci fatto respirare quelle “pazze verità siloniane” che tanto sanno di libertà.
Riprese e montaggio video di Alessandro De Santis.