di Americo Tangredi
AVEZZANO – Ci sono eventi storici che ci rimangono impressi nel nostro animo, quasi per ricordarci chi siamo: la maggior parte delle volte ci si ricorda solo degli eventi legati a momenti negativi della storia. Se si domandasse in giro la seguente domanda: “Ricordi cosa stavi facendo quel 9 maggio del 1978 quando venne ritrovato il corpo di Aldo Moro? Molti ricordano benissimo, quasi con minuziosa particolarità ciò che stavano facendo. Sono trascorsi quarant’anni dall’uccisione di due uomini liberi: Aldo Moro e Peppino Impastato e questo è il momento giusto per una riflessione ed un giusto ricordo.
Erano trascorsi cinquantacinque giorni da quel 16 marzo del 1978 quando in via Fani un comando delle BR dopo aver trucidato la scorta rapì il Presidente Aldo e l’orrore non si fermò lì. Una Renault 4 rossa, parcheggiata in Via Michelangelo Caetani, proprio a due passi dalle sedi delle due forze politiche più attive nel paese (ovvero la DC ed il PCI), conservava il corpo senza vita del Presidente. L’Italia si fermò dinanzi a quella macchina, era stato ucciso un uomo buono.
«Non pensare ai pochi casi – si legge in una lettera di Aldo Moro, del 20 aprile del ’78 destinata al segretario della DC Benigno Zaccagnini- nei quali si è andato avanti dritti, ma ai molti risolti secondo le regole dell’umanità perciò, pur nelle difficoltà della situazione, in modo costruttivo. Se la pietà prevale, il Paese non è finito».
Nello stesso giorno del ritrovamento del corpo del Presidente, in Sicilia, a Cinisi precisamente, la voce della lotta contro la mafia Peppino Impastato venne fatto saltare in aria da cinque chili di tritolo sulla tratta ferroviaria Palermo-Trapani. Inizialmente le indagini andarono contro Peppino, venne accusato di esser stato proprio lui nel posizionare la bomba. Ma grazie al forte coraggio di sua madre Felicia e del giudice Rocco Chinnici ebbero la meglio. Nel 1984 venne scoperta la verità: fu la mafia ad uccidere Peppino. «Se si insegnasse la bellezza – ricorda Peppino Impastato- alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà».
Le vite e le vicende di Aldo e di Peppino ci devo insegnare una cosa fondamentale, quella di non aver paura nel lottare le cose negative della vita e soprattutto, quella di non aver mai paura.