di Pierluigi Palladini
AVEZZANO – Sono occorsi quindici anni di processi e sentenze per ottenere giustizia e un risarcimento danni dallo Stato, Minstero della Salute, per avere perso la madre a causa di una trasfusione con sangue infetto.
I fatti risalgono al lontano 1973 quando, a causa di un’emorragia, una donna ha dovuto subire presso un ospedale della Marsica una trasfusione. Dopo diversi anni di cattive condizioni fisiche, nel 1987 alla stessa donna è stata diagnosticata la positività al virus dell’epatite B e qualche anno dopo anche al virus dell’epatite C. Da questo momento, quindi, parte un lungo, tragico e doloroso calvario per la paziente culminato nel 2006, purtroppo, con la sua morte.
Un decesso che, date le circostanze, ha indotto subito gli eredi ad avviare una causa per accertare responsabilità. La battaglia legale inizia nel 2003 con l’avvio della causa presso il Tribunale di L’Aquila. si trattò di una delle prime cause a livello nazionale in materia di trasfusioni infette, all’epoca non vi era mai stata una pronunciata della Corte di Cassazione sullo scandalo del sangue infetto. Dopo la morte della donna, avvenuta come detto nel 2006, sono subentrati gli eredi. Nel 2007 la sentenza pronunciata dal Tribunale aquilano fu di diniego in quanto i giudici seguirono il primo orientamento della Suprema Corte (avutosi nel 2005) che prevedeva i cosiddetti “sbarramenti epocali”, per capirci i giudici riconoscevano il diritto ad essere risarciti solo ai casi da contagio da epatite B dal 1978 in poi; da Aids dal 1985 in poi e da epatite C dal 1988 in poi. Gli eredi della donna e il legale di famiglia, l’avvocato Cristian Carpineta, non si sono dati per vinti e nel 2008 è statopresentato u ricorso in Corte di Appello. Nello stesso anno è intervenuta la sentenza a sezione unite della Corte di Cassazione (n. 581) che ha ribaltato le assurdità del primo orientamento giurisprudenziale. Così nel 2014, le argomentazioni giuridiche espresse dall’avv. Carpineta durante il giudizio di primo grado, che per una caso analogo trovarono conforto nella pronuncia 581/2008 SU Cassazione Civile, sono state in grado di ribaltare la sentenza del giudice di primo grado. Il Ministero della salute, come facilmente prevedibile, presentò ricorso per Cassazione che è stato discusso all’udienza del 18 ottobre 2017. In data 12 aprile scorso, però, è stata depositata l’ordinanza n.9037 con cui il ricorso del Ministero è stato ritenuto improcedibile per due ordini di ragione: 1. In rito per m una palese Erroneità nel procedimento notificatorio del ricorso stesso; 2. Nel merito, perché contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero (scarsa conoscenza scientifica dei virus che, sulla regola del caso fortuito, escluderebbero la sua colpa), la corte d’appello aveva individuato esattamente le responsabilità della P. A. (nella pagina allegata leggerai sub voce A e B).
«Dopo 15 anni di battaglie giudiziarie si è finalmente conclusa questa triste vicenda – commenta l’avvocato Cristian Carpineta – . In particolare l’importanza dell’Ordinanza n.9037 del 2018 della Suprema Corte discende dal fatto che, ancora una volta, è stato ribadito che per i casi di contagio da sangue infetto ante 1978 (anno in cui la scienza medica ha introdotto i primi test sul Virus dell’epatite B e a livello normativo sono entrate in vigore leggi più pregnanti in materia) il Ministero è da ritenersi colpevole non solo per il contagio del virus dell’epatite B ma anche – prosegue il legale impegnato in questo tipo di battaglie – , trattandosi di un unico evento lesivo, per il contagio degli altri virus (epatite C e/o AIDS). La fonte della responsabilità è sempre la stessa: omesso controllo del sangue che sin dalla notte dei tempi, si conosceva essere veicolo di virus!! Oggi è stata fatta finalmente giustizia. Spero vivamente che il pronunciamento della Corte di Cassazione – conclude Carpineta – possa essere di aiuto a quelle tante persone (contagiati e famiglie) vittime dello scandalo nazionale del “sangue infetto”».
Una storia che parte da un evento triste e drammatico ma che arriva poi ad un esito incoraggiante e dà un esempio. Bisogna lottare sempre per avere giustizia e per vedere riconosciuti i propri diritti. Non si possono accettare mai supinamente le ingiustizie o ciò che noi, in modo razionale e congruo ovviamente, riteniamo essere tali. Abbassare la testa, lasciar perdere, essere passivi andrà a costituire il peggiore dei rimorsi e dei rimpianti verso noi stessi.